Un minore sbarcato in questi giorni a Arguineguin, nelle Isole Canarie - Ansa
Stop ai rimpatri di minori se non si hanno garanzie su un’adeguata accoglienza nei Paesi di origine. È molto netta la Corte di Giustizia Ue, in una sentenza destinata a lasciare il segno sul fronte della gestione della migrazione, con un forte paletto in grado di bloccare anche eventuali tentazioni di sapore populistico per espulsioni «facili».
Al centro della vicenda, è un ragazzo originario della Guinea (di cui la Corte comunica solo le iniziali, T.Q.), che nel 2017, all’età di quindici anni, aveva avanzato in Olanda una domanda di soggiorno a tempo determinato nel quadro del diritto d’asilo. Il giovane racconta di esser partito dalla Sierra Leone (dove si era trasferito bambino) dopo la morte della zia che lo ospitava. Ad Amsterdam, dice alle autorità olandesi, è vittima di tratta di esseri umani e di sfruttamento sessuali che, afferma, gli hanno provocano gravi turbe psichiche. Nel marzo 2018 la brutta notizia: il ministero competente rifiuta il permesso di soggiorno e il giudice del rinvio nega lo status di rifugiato e anche la protezione sussidiaria. Per T.Q. la via è segnata: il rimpatrio.
Lui non si arrende, fa ricorso segnalando di non avere idea di dove siano i suoi genitori, di non saperli ormai neppure riconoscere e di non conoscere altri familiari. Le autorità olandesi non si lasciano impietosire e si riferiscono a una curiosa particolarità della legge locale: l’obbligo di verificare le condizioni di accoglienza in un rimpatrio, prevista dalla direttiva Ue in materia del 2008, si ferma ai minori di meno di 15 anni. Per chi è più grande no, anche se, nella prassi, le autorità olandesi attendono il compimento del diciottesimo anno di età per il rimpatrio. Il problema è che, in questo lasso di tempo, praticamente per questi migranti minorenni si vive nel limbo giuridico.
Una situazione inammissibile per la Corte Ue, interpellata peraltro dallo stesso giudice del rinvio olandese interessato. «Quando uno Stato membro – si legge in un comunicato – intende adottare una decisione di rimpatrio nei confronti di un minore non accompagnato ai sensi della direttiva rimpatri, esso deve, in ogni fase della procedura, prendere necessariamente in considerazione l’interesse superiore del bambino».
Dunque, taglia corto la Corte, «laddove non sia disponibile un’accoglienza adeguata nello Stato di rimpatrio, il minore interessato non può essere oggetto di una decisione di rimpatrio».
Né è ammissibile il «limbo» di un minore, che lo pone in «una situazione di grande incertezza quanto al suo status giuridico e al suo futuro, in particolare quanto alla sua frequenza scolastica, al suo legame con una famiglia di affidamento e alla possibilità di rimanere nello Stato membro interessato». Non considera quindi «l’interesse superiore».
L’ordinamento italiano, a differenza di quello olandese, sulla base della direttiva Ue, vieta sempre il rimpatrio di minori se non si è potuto assicurare che vi siano garanzie adeguate per l’accoglienza nel Paese d’origine, oltre che il respingimento alla frontiera di minori non accompagnati (al contrario di Paesi come l’Olanda, l’Austria, il Belgio, la Germania).
Anche per l’Italia, tuttavia, quello della Corte è un chiarimento prezioso, a futura memoria.