
L'analista Marco Simoni - .
Reagire ai dazi di Donald Trump con altrettanti dazi europei? «E perché mai, per orgoglio? Per autosabotarci anche noi? Molto meglio non innescare una vera e propria guerra commerciale, ma aspettare e fare in modo che Washington capisca quanto male dazi generalizzati alle merci straniere faranno alla sua stessa economia». È favorevole a un atteggiamento attendista Marco Simoni, direttore del Luiss Hub for New Industrial Policy e docente di Politica economica europea, secondo cui «una maggiore integrazione del mercato unico europeo e la ricerca di nuovi mercati può rappresentare una buona soluzione per le imprese italiane e dell’Ue per controbilanciare le misure statunitensi».
Per tre mesi abbiamo vissuto tra annunci e controannunci di Donald Trump sui dazi. Ora siamo al dunque…
La prima considerazione che si può fare è che questo clima di incertezza ha già generato di per sé conseguenze economiche negative. L’incertezza è ciò che gli investitori temono di più: se investo del denaro so che il rischio si può misurare e posso diversificare il mio investimento. Ma l’incertezza è l’ignoto e davanti all’ignoto gli investimenti non si programmano nemmeno. I dati di crescita del primo trimestre a livello globale hanno quindi già risentito di questo clima.
Cosa rischiano le imprese europee e quelle italiane con i dazi Usa?
L’impatto sul Pil europeo ci sarà, lo evidenziano tutti i modelli, ma bisogna essere bravi a reagire come Europa, come un insieme di mezzo miliardo di consumatori. Se sarà più difficile vendere un bene negli Stati Uniti, c’è spazio di crescita per vendere gli stessi prodotti all’interno dell’Ue, così come ci si può far largo in Paesi come l’India, il Giappone, la Cina e in tutto il Sud-Est asiatico. Inoltre, abbiamo molti margini di semplificazione, ad esempio nel mercato dei capitali. Nell’Unione ci sono ancora troppe regole diverse da Paese a Paese che non premiano gli investimenti, a differenza di quanto accade in Nordamerica. Bisogna armonizzarle per generare crescita economica.
Quali settori produttivi italiani soffriranno più conseguenze?
In generale un po’ tutti, considerato che gli Stati Uniti sono il secondo Paese di destinazione del nostro export dopo la Germania. In particolare, si possono citare il comparto farmaceutico, la meccanica, la moda, l’alimentare. Sarebbe importante che l’Europa desse una mano alle aziende a esportare. Siamo uniti quando si discute di dazi, ma quando si tratta di aiutare le imprese ogni Paese sostiene le sue. La Commissione Europea dovrebbe ricevere mandato dagli Stati per un’operazione di promozione generale sui mercati extraeuropei.
Perché è contrario a una rappresaglia di dazi Ue contro le merci Usa?
Spero si rifletta a Bruxelles sul fatto che, rispetto al passato, oggi le cosiddette catene del valore sono molto lunghe: non esiste nessun prodotto fatto e confezionato interamente in un solo Paese. Innescare una guerra commerciale aggraverebbe soltanto la situazione. Le importazioni degli americani sono importanti non solo per i loro consumatori, ma anche per le imprese che producono quei beni. I produttori Usa di automobili stanno già chiedendo a Trump di non mettere dazi sulle parti intermedie delle auto, quindi un dazio generalizzato del 20% avrebbe un effetto depressivo talmente ampio sugli Usa che una rappresaglia europea aggraverebbe la situazione anche per noi. Lasciamo invece che sperimentino per sei mesi gli effetti dei dazi e che ci ripensino davanti a una aperta recessione. È solo pensiero magico per gli Usa sperare in miglioramenti grazie alle tariffe: si stanno autosabotando dal punto di vista economico, non commettiamo lo stesso errore.
Gli Usa denunciano lo squilibrio commerciale come ragione dietro ai dazi…
Gli Usa sono una vera economia di mercato e il più grande vincitore della globalizzazione. È vero che sono dietro alla Cina nell’export globale, ma sono i primi per margini di guadagno su quelle esportazioni. È altrettanto vero che l’Europa vende circa 900 miliardi di dollari di beni e servizi agli Usa, ma i servizi digitali delle imprese statunitensi hanno margini di guadagno del 50%, che non sono i margini che hanno le aziende europee.
Siamo comunque davanti a un passaggio epocale?
Siamo davanti alla fine di un modello di globalizzazione, un cambiamento di paradigma. C’è un ritorno alla politica industriale, con la Germania che investirà 50 miliardi di euro l’anno nella difesa, la Francia che investe nell’intelligenza artificiale. In generale, siamo davanti al dominio di quello che viene definito capitalismo politico, con un intervento pubblico che negli Usa era già stato forte con Biden. Ma i dazi nella storia dell’umanità non hanno mai prodotto crescita: solo aumento dei prezzi, attenzione politica e danni per tutti.