Avevano messo in conto una quota
"fisiologica" di venti franchi tiratori. E a serata, di fronte
alla preoccupazione di qualche senatore per la maggioranza che
si ferma a 160 nel voto segreto, i renziani spiegano che quei
numeri inducono comunque alla tranquillità. Perché, a parte il
"calo dell'attenzione" che porta su un emendamento a toccare la
punta minima di 157 voti, il fronte del sostegno alle riforme si
attesta nei voti a scrutinio palese tra 169 e 175. E così,
osservano, si dimostrano non determinanti neanche i 13
verdiniani. Nessuna preoccupazione dunque, spiega chi è vicino a
Matteo Renzi. Avanti con la guardia sempre alta, perché è ogni
giorno più alta la tensione in Aula. Ma di questo passo,
scommettono i Dem, si chiuderà anche prima del 13 ottobre.
A Palazzo Chigi il presidente del Consiglio lavora sulla
legge di stabilità. L'accordo con la minoranza Pd nel merito
della riforma regge alla prova dell'Aula. Perciò Renzi incarica
il ministro Maria Elena Boschi e il sottosegretario Luca Lotti
di governare le tensioni di Palazzo Madama e disinnescare le
trappole nascoste negli emendamenti dell'opposizione.
Boschi per
gran parte della giornata presidia l'emiciclo, Lotti si ferma a
parlare con i senatori. In Senato a reggere le fila dei suoi
arriva anche Angelino Alfano. Non sono ammessi errori e perciò
ogni votazione viene monitorata: a Pietro Grasso si chiede di
controllare il nervosismo dell'Aula che rischia di rallentare le
riforme.
Ma a fine giornata il voto a scrutinio segreto sulle
minoranze linguistiche permette di tirare un sospiro di
sollievo. Perché dalla quota potenziale di 177 voti della
maggioranza più i verdiniani andavano sottratti, spiegano dal
Pd, quattro Dem assenti giustificati e il gruppo delle Autonomie
che è nella maggioranza ma sosteneva l'emendamento.
Piuttosto crea imbarazzo e qualche timore per la tenuta
nervosa della maggioranza, il gesto osceno rivolto in Aula dal
capogruppo dei verdiniani Lucio Barani alla 5 Stelle Barbara
Lezzi. Quel gesto, osserva un senatore della maggioranza Dem, in
un sol colpo toglie credibilità all'immagine di "sinceri
riformisti" dei 13 senatori di Ala e aggiunge argomenti pesanti
alla campagna della minoranza Pd contro "gli amici di
Cosentino".
Il gruppo, con il capogruppo Luigi Zanda, condanna
subito il gesto osceno. E i renziani non si stancano di
ripetere, come avevano già fatto per tutta la giornata, che il
contributo dei verdiniani è ben accolto nella chiave di riforme
il più possibile condivise, ma non sono essenziali alla
maggioranza e non sono parte della maggioranza. Ma i bersaniani,
rivendicato l'unità mostrata dal Pd nelle prime votazioni,
sottolineano come circondarsi di "cattive compagnie" non possa
che far male al partito. "Ogni gesto volgare, in modo particolare verso le donne, va censurato senza se e senza ma". Lo ha afferma il presidente del Consiglio
Matteo Renzi in riferimento al "caso" del gesto sessista fatto al Senato, ma non solo.
In nome dell'unità del partito, una volta incassato il via
libera all'articolo 2 della riforma, entreranno nel vivo le
trattative sul metodo di elezione del presidente della
Repubblica, che la minoranza Pd insiste nel voler cambiare.
Mentre per ora viene tenuto a bada il nervosismo dei renziani
verso Corradino Mineo, senatore della minoranza che ha votato in
dissenso dal partito per cancellare l'articolo 2. Più d'uno,
raccontano, è andato da Zanda a chiedere un provvedimento
disciplinare. La sopportazione, spiegano dalla maggioranza, è
giunta al limite: per ora non ci sarà nessun intervento, poi al
termine dell'esame delle riforme si farà una valutazione.