Via i simboli religiosi dalle lapidi. È questo l’incredibile contenuto del documento uscito dalla giunta del Comune di Lugo, paese romagnolo in provincia di Ravenna, a proposito degli ' arredi' delle tombe nella parte nuova del cimitero. Salvo rettifiche, imbastite un modo po’ confuso dal sindaco del centrosinistra Raffaele Cortesi per precisare che, in realtà, ciò che sta scritto nero su bianco nel testo comunale in realtà, non si deve intendere alla lettera.
I fatti. All’inizio di maggio la Giunta approva l’allegato tecnico alla sua delibera numero 102: «Precisazioni operative per la realizzazione delle finiture dei manufatti funerari nel campo di inumazione»; un testo di poche pagine dove si descrive per filo e per segno come devono essere fatte le lapidi della parte nuova del Cimitero, nonché l’arredo dell’area che ospita le inumazioni. Una carrellata di indicazioni minuziosissime sulla grandezza dei caratteri da utilizzare per le scritte (persino il formato tipografico delle lettere, «Arial» o «Futura», da giustificare a destra sopra le date di nascita e di morte), il colore della cornice della foto («rigorosamente in metallo cromato non lucido e di dimensioni massime pari al formato A6 » ) e la posizione da destinare al vaso per i fiori. Il tutto sottoposto ad un’unica, sconvolgente, indicazione generale: « Sulla lapide saranno ammessi solamente i seguenti elementi: dati anagrafici e fotografia ». Un avverbio, «solamente » , dal significato chiaro: via qualunque altra cosa. Simboli ed altri elementi religiosi compresi.
Divieto per esclusione. Intenzione reiterata poche righe sotto: «Le scritte ammesse sulla lapide sono 2: nome e cognome; data di nascita e di morte». Il tutto condito con altri scivoloni in qua e in là nel testo, dove si precisa che «per l’intero campo di inumazione non è previsto alcun sistema di illuminazione votiva » e che «l’intera area destinata a sepolture non prevede l’impiego o il posizionamento di altri manufatti di qual si voglia foggia o utilizzo». Una frase, quest’ultima, che presenta poche ambiguità in una regione come l’Emilia Romagna dove il regolamento di Polizia mortuaria, approvato nel 2004, non prevede l’erezione di cappelle nei cimiteri, scaricando spese e responsabilità ai Comuni. Caso probabilmente unico a livello nazionale. La notizia viene ripresa dai media e mette sotto sopra l’opinione pubblica. Supportata dal caso di una signora lughese rivoltasi ad un avvocato dell’Adiconsum cittadino dopo la risposta arrivata dagli addetti agli uffici del Comune: « Dicono che la scelta di evitare segni sia stata presa per non urtare le diverse sensibilità religiose». Dopo la frittata arriva tuttavia la precisazione del sindaco: non era intenzione della Giunta vietare simboli religiosi. In realtà l’allegato tecnico non sarebbe vincolante, avrebbe assicurato il sindaco direttamente al vescovo di Imola, Tommaso Ghirelli. La vicenda ha tuttavia lasciato l’amaro in bocca a tanti perché rispecchia per lo meno, volendo credere alla buona fede degli attori, un modo burocratico e tecnicistico di intendere le aree di sepoltura; con attenzione nulla alla tutela del sentimento religioso del popolo. Per Paolo Cavana, docente di Diritto ecclesiastico alla Lumsa di Roma, «il testo fa cogliere una precisa volontà di escludere i simboli religiosi, spingendosi più in là della Francia, notoriamente uno dei Paesi più laicisti d’Europa, dove i rimandi alla religione sono banditi dai luoghi pubblici fatta esclusione proprio per i camposanti. Se si pensa che i cittadini italiani di religione ebraica, secondo l’Intesa con lo Stato, hanno diritto a spazi propri nei Cimiteri, nel rispetto delle proprie modalità di sepoltura, si capisce come si rischi in Italia di discriminare sempre più solo i cattolici, che nel Paese sono la maggioranza ».