Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti - Ansa
Un sasso lanciato nello stagno. Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che di mestiere fa il “signor no” alle richieste dei suoi colleghi di governo, per una volta ha voluto giocare all’attacco, chiedendo lui direttamente di inserire in manovra una misura per contrastare la denatalità. In realtà si tratta solo di una traccia di lavoro, lasciata alle pagine del Foglio, e che si scontra con il solito problema, quello delle risorse. L’idea sarebbe la seguente: rimodulare 5-6 miliardi di detrazioni fiscali, agevolando chi ha figli e riducendole, o togliendole, a chi non ne ha. Una revisione che avrebbe come criterio solo il numero di figli, e non il reddito disponibile.
Come detto, è una pista di lavoro di non semplice realizzazione. Che ovviamente stuzzica chi da sempre ha un faro su questi temi, come il presidente della Fondazione per la Natalità Gigi De Palo, che però aspetta il governo e il Parlamento alla prova dei fatti.
Certo l’esternazione di Giorgetti fa porre delle domande: se è possibile ricavare 5-6 miliardi da detrazioni e tax expenditures, perché questo gruzzoletto non potrebbe essere destinato a rafforzare l’assegno unico per figlio, misura strutturale già in vigore e che tra l’altro attende, da tempo, revisioni sia in ordine all’impatto sull’Isee sia in ordine alla conformità europea? A Giorgetti resta però il merito di aver posto all’esecutivo una priorità reale che non è solo nazionale, ma anche europea. Arrivare al risultato, però, non sarà facile.
Il sentiero della manovra è infatti strettissimo. Per ora uno degli obiettivi resta quello di rinnovare l’esonero contributivo destinato alle mamme lavoratrici estendendolo, compatibilmente con le risorse, anche alle lavoratrici autonome. «Il lavoro delle donne si basa sulla incentivazione alla genitorialità. Stiamo cercando di agire in questa direzione», ha spiegato Marina Calderone, che su un altro fronte caldo, le pensioni, ha rilanciato l’idea (un “sempreverde”) di agevolare la previdenza integrativa.
Ma è ancora presto per parlare nel dettaglio di norme. L'attenzione è infatti ancora tutta focalizzata sul Piano strutturale di bilancio e sulla sua tempistica. Come preannunciato, la scadenza del 20 settembre per l'invio a Bruxelles non sarà rispettata. Per la Commissione non sarà un dramma, anche perché il ritardo non riguarderà solo l'Italia ma molti altri Paesi membri. Al momento il Mef punta a portare il documento in Consiglio dei ministri martedì 17 per un primo esame. Ma - considerata l'intenzione del Parlamento di visionare il Piano nella sua completezza - il governo aspetterà le revisioni Istat del 23 settembre, ha spiegato il ministro per i rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, per l'approvazione definitiva con eventuali aggiornamenti e per la trasmissione al Parlamento. Le capigruppo di Camera e Senato hanno quindi già calendarizzato l'esame del Piano a inizio ottobre. In parole povere: c’è uno slittamento dei tempi a conferma della complessità delle operazioni.
Tutto ciò dà al governo un ottimo motivo (o pretesto, a seconda dei punti di vista) per assumere una decisione politicamente importante: il ddl Casellati sul premierato non approderà in Aula alla Camera nel prossimo trimestre. Se ne riparlerà nel 2025. La decisione è stata presa ieri dalla Conferenza dei capigruppo di Montecitorio. Le forze di governo in qualche modo hanno ammesso che le turbolenze sulla manovra potrebbero avere impatto sulla riforma cara alla premier Meloni. Un testo che tra l’altro potrebbe cambiare nel suo percorso alla Camera, allungando (e non di poco) i tempi complessivi di approvazione.