La squadra dei nove ragazzi affetti da autismo impegnati con le loro famiglie nel creare un nuovo futuro per la Lombardia - .
Se l’erano promessi da fidanzati: adotteremo due o tre bambini. Così quando Margherita è venuta al mondo un anno dopo il matrimonio (bruciando sul traguardo ogni buona intenzione), Cristina e il marito Alberto hanno solo rimandato il loro sogno. Due anni dopo però è nata anche Alice… «Insomma, quando finalmente dall’Albania è arrivato Mario, è stato un dono atteso da tutti», raccontano Cristina Grignani, 57 anni, e Alberto Basso, 61, nella loro casa di Melegnano tutta luce e giardini. Mario, oggi un bel ragazzo di 23 anni, li ascolta dondolando in piedi sulle lunghe gambe da sportivo.
Nel perfetto equilibrio del suo mondo sempre pronto a incrinarsi, la giornalista è un po’ un’intrusa, ma i genitori, per nulla iperprotettivi, non ci fanno caso, «se siamo sereni noi si rilassa anche lui». Il nastro adesivo sul vetro di una porta racconta che non sempre va così, ma qui tutto sa di armonia e anche un osso duro come Mario, approdato in famiglia a 2 anni e mezzo, alla lunga ha dovuto cedere. Non era nei loro piani adottare un bambino disabile, ma «come nella nascita di un figlio non fai ordinazioni e prendi ciò che viene, così quando ci è stato proposto Mario, con la sua diagnosi di “ritardo molto grave” non meglio definita, siamo partiti per l’Albania ». Ci avevano già provato con G., bimba rumena di 4 anni affetta da dermatite bollosa, ed erano risultati idonei, «ma vista la natura della malattia alla fine hanno preferito affidarla a una coppia che non avesse già due figlie piccole – racconta Cristina –. Ci abbiamo sofferto, ci eravamo ben documentati sulla patologia ed eravamo pronti».
Mario, 23 anni, con una delle sue sorelle mentre festeggia il compleanno - .
Poco dopo, la chiamata è arrivata da Korce, sui monti al confine tra Albania e Macedonia, dove un piccolo istituto dava ricovero a tanti bambini soli. «Il clima era ancora post bellico, militari dappertutto…». Un buon istituto, nelle intenzioni, ma con due assistenti in tutto, dunque i bambini erano sempre allettati, finestre chiuse e tapparelle abbassate, come se prevenire ogni guizzo di vitalità fosse l’unico modo per gestirli. «Quei piccolini non uscivano mai, tutt’al più li portavano in uno stanzone senza giocattoli, c’erano solo i poster dei cartoons appesi alle pareti e i bambini con le mani accarezzavano le figure». Mario era nato di 700 grammi nell’ospedale accanto: il gemellino era morto alla nascita, lui era rimasto 5 mesi in incubatrice, «ma spesso saltava la luce e non c’erano generatori». Nel febbraio del 2001 il primo viaggio in Albania, «la relazione sul bimbo era lacunosa, non parlava di autismo, eppure la diagnosi era evidente. Mario era fortemente strabico, ma perché non ti voleva guardare, evitava ogni contatto umano», racconta il papà. Uno strabismo guarito in pochi mesi, in Italia, «senza bisogno dell’intervento chirurgico, solo tenendolo sulle ginocchia: iniziava a conoscerci e semplicemente accettava di guardarci».
La confidenza è stata una lunga conquista, «il primo anno non ci ha mai concesso la mano, lo tenevamo per il polso. La seconda estate cominciava a stare in braccio volentieri e gli abbiamo insegnato a dare il bacio alle sorelline, addirittura con lo schiocco. Ora se le sorelle se lo abbracciano è contentissimo». Non parlerà mai, avevano previsto i medici, ma le parole più utili le ha imparate, pappa, bicicletta, piscina, pattini, sciare, basket, canoa... Perché Mario va fortissimo negli sport, che ha sempre praticato grazie alla Cooperativa Fabula Onlus, una manna per famiglie con figli come lui. La nota dolente invece è la scuola: «Mario non è un genio come gli autistici dei film di Hollywood – sorridono Cristina e Alberto –, nessuna Divina Commedia recitata al contrario, tutt’al più è bravino in disegno, ma le realtà scolastiche sono incapaci di includere questi ragazzi, manca il personale formato».
Dopo una scuola materna e primaria «disastrose », l’esperienza ottima alla media “Ilaria Alpi” di Milano con educatori specializzati, ma alle superiori (in centro città) di nuovo il disastro, «per ore restava lì parcheggiato da solo e la tensione saliva, siamo arrivati al colmo di pagare noi un educatore della Cooperativa Fabula che stesse in classe. Eppure in quell’istituto c’era un gruppo consistente di ragazzi come lui». Da una parte i progressi giganteschi fatti in famiglia, dall’altra la retromarcia ingranata da scuola e istituzioni.
«Ovvio che per lui ho lasciato il lavoro », precisa Cristina, che prima seguiva lo studio notarile di famiglia, mentre Alberto, commercialista, ha continuato a dividersi tra impiego e figli, «e naturalmente abbiamo rinunciato ad adottare altri bambini, vista la complessità del caso. Ma non abbiamo mai pensato di rinunciare a Mario», nemmeno quando in Albania la giudice del Tribunale dei minori aveva tentato di dissuaderli. «Le sorelline si aspettavano il bambolotto da cullare, invece portavamo a casa un problema, ma a Margherita e Alice dicemmo che nessuno aveva insegnato a quel bambino a parlare e che ora lo avremmo aiutato tutti insieme. La notte in effetti non si dormiva molto, ma non si sono mai lamentate, nemmeno per il baccano che il fratello faceva mentre studiavano. Lo hanno sempre difeso». L’autismo grave richiede assistenza a 360 gradi, fisica e psicologica. «Sono ragazzi che hanno un mare di problemi collaterali, dalle ulcere di terzo grado all’esofago alle frequenti operazioni all’intestino, ma fino ai 18 anni Mario è stato seguito molto bene nelle terapie e nelle attività sportive dalla Cooperativa Fabula Onlus, fondata da giovani specializzati al San Paolo e al Ctr (Centro territoriale riabilitativo) di via Vallarsa per offrire terapie specialistiche ai nostri figli».
Li portano anche in vacanza, in inverno sulla neve del Trentino con i maestri di sci, in estate sulle spiagge dell'isola d'Elba e del Molise, «ma al mare non lo mandiamo perché loro ci vanno in agosto, quando anche noi siamo in Sardegna con le figlie e i loro fidanzati: non ammetterebbero l’assenza di Mario!». Il quale non sa che proprio lui, con la sua storia di ragazzo speciale, sta cambiando il volto della Lombardia insieme ad altri otto amici come lui. Perché arriva un’età in cui, finito il ciclo scolastico, per gli autistici over 18 si spalanca l’abbandono, il nulla istituzionale, la mancanza di risposte, proprio quando le problematiche aumentano. «Così con gli altri genitori conosciuti in Fabula abbiamo deciso di creare la fondazione Fracta Limina (in latino “confini spezzati”), con l’obiettivo di aprire un centro diurno che si avvalga degli operatori della cooperativa, ma che in prospettiva futura risolva anche il problema del “dopo di noi”, quando noi genitori non ci saremo più».
Un progetto ambizioso, partito sì dalla vita di nove ragazzi autistici (solo Mario è adottivo) ma per poi aprirsi all’intera cittadinanza e al territorio: «Una parte della struttura, l’ex oratorio femminile, ospiterà il centro diurno, gli ambulatori per i medici, i logopedisti, gli psicomotricisti ecc., e alcuni appartamenti in cui i ragazzi si abitueranno a vivere per brevi periodi in autonomia dalla famiglia, insieme agli educatori; sono gli stessi in cui vivranno quando noi non ci saremo più. Ma l’altra parte della struttura, l’ex teatro, diventerà un grande spazio polifunzionale per le attività e i servizi alla cittadinanza, perché l’inclusione va in entrambe le direzioni e non può essere solo uno slogan». Sarà il primo centro del genere e risponderà ai bisogni sempre più urgenti di tutto il territorio del Sud Est-Milano. Un progetto non più rimandabile: fino ad oggi le famiglie con figli autistici si sono sobbarcate privatamente le spese, «vuol dire 1.600 euro al mese per quattro ore al giorno di centro pomeridiano, dato che è necessario un operatore ogni due ragazzi al massimo. Si fanno salti mortali, ma quanti possono permetterselo?».
È un progetto da milioni di euro, ma le famiglie del Sud Est-Milano sono da tempo tutte in prima linea per raccogliere fondi e stanno già acquistando l’ampia struttura dalla parrocchia di San Giovanni Battista. Poi però toccherà allo Stato e alla Regione fare la loro parte: «Sia chiaro che noi non siamo un peso, offriamo una grande risorsa all’intero territorio – spiegano –. Il progetto è sperimentale e ha requisiti unici, ma poi sarà replicabile anche altrove, perché di situazioni come le nostre ce ne sono in tutta Italia», (si stima oltre mezzo milione). I problemi non mancano, la burocrazia erige muri, «in Regione non esiste neppure il registro dei pazienti autistici e non c’è la minima idea di quali siano i numeri», ma loro non si scoraggiano, «il rogito lo faremo entro l’estate, subito dopo comincerà la ristrutturazione e nel 2025 saremo pronti a partire. Siamo consci che dall’inaugurazione del centro a quando la Regione lo accrediterà dando alle famiglie il voucher passerà del tempo, ma dovranno fare in fretta perché alternative non ce ne sono».
Intanto Fracta Limina ha distribuito in molte scuole del Milanese un libriccino illustrato (titolo “Io sento vedo percepisco in modo diverso”) in cui il piccolo Iosed spiega con linguaggio semplice come funzionano i suoi cinque sensi di bambino autistico. Sono solo 16 pagine, ma capaci di svelare anche a noi adulti il mondo “altro” degli autistici, come cioè percepiscono la realtà attraverso la vista, l’udito, l’olfatto, il gusto, il tatto. «Loro non sanno che le altre persone non sentono come loro. E le altre persone non sanno che gli autistici sentono in maniera diversa ». Entrare nel loro mondo è come imparare una lingua sconosciuta. E allora, finalmente, ci si capisce.