martedì 26 novembre 2024
La Lega insiste sulla riduzione a 70 euro e FI attacca: «Ritirate l’emendamento». La sfida tra partiti blocca i lavori al Senato sul dl fiscale
La sede della Rai

La sede della Rai - ANSA

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Il richiamo all’ordine di Giorgia Meloni sulla manovra (niente liti e profilo basso), non ha evitato l’ennesima scaramuccia tra Lega e FI, stavolta sul canone Rai. Oggetto del contendere, un emendamento al dl fiscale del Carroccio per tagliarlo di 20 euro (da 90 a 70), che però gli azzurri non sembrano disposti a far passare, tanto più che l’ordine di scuderia arrivato da Palazzo Chigi è stato chiaro: ci sarà spazio solo per proposte di modifica condivise.

Lo scontro ha costretto la maggioranza a un vertice di riparazione, convocato lunedì sera in Senato, con il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani di FdI, a fare da mediatore. La riunione ha bloccato i lavori in commissione Bilancio sul decreto, scatenando le reazioni delle opposizioni per il voto slittato a stamattina. Tuttavia non c’erano alternative, specie dopo le combattive dichiarazioni del pomeriggio da parte di diversi esponenti azzurri. Tra questi Maurizio Gasparri, per il quale la proposta leghista «non serve a niente» perché «se fai il taglio poi si danno alla Rai 400 milioni che sono dei cittadini, quindi se non è zuppa è pan bagnato». Anche il capogruppo azzurro in commissione Bilancio a Montecitorio, Dario Damiani, ha parlato di un provvedimento «divisivo », e quindi, in ossequio alla volontà della presidente del Consiglio, da «accantonare».

L’intenzione è comunque di risolvere il rebus nell’ambito del decreto fiscale, in modo da liberare da ulteriori discussioni il percorso della manovra. Non è ancora chiaro, però, se la Lega ritirerà il suo emendamento. Nel frattempo Giancarlo Giorgetti, investito dei “pieni poteri” sulle modifiche alla legge di Bilancio, si è calato subito nel ruolo di arbitro tra le forze del centrodestra. Non sarà facile districarsi tra i desiderata degli alleati e i bisticci di FI e Lega, ma nel summit di maggioranza di domenica sera la premier è stata categorica: sarà il titolare del Mef a distribuire il lasciapassare per eventuali modifiche e sempre su proposte concordate da tutti. Incalzato dai cronisti sulla questione, il ministro dell’Economia ha provato a smarcarsi, ammettendo che smistare le richieste dei partiti è tra gli «incarichi difficili del Mef», ma in ogni caso, ha aggiunto, «ci stiamo lavorando».

Alla domanda più specifica sul taglio del canone Rai è stato altrettanto prudente: «Vediamo come va il voto». Di fatto al momento lo schema resta quello dello scontro tra i due azionisti di minoranza della coalizione, rispetto al quale FdI non può fare altro che provare a sedare gli animi. Non a caso il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ha minimizzato, ricordando che al governo «non c’è un partito unico» e ogni forza politica «ha proposte aggiuntive» su cui si «troveranno convergenze» e «una strategia comune». Le priorità restano la sanità, le famiglie e le Pmi, come spiegato nel comunicato seguito alla riunione a casa della premier, ma nascondere le difficoltà nel trovare una quadra non è cosa facile. Proprio in commissione Bilancio i dem si sono scagliati contro il «vertice fuffa» accusando Meloni di aver «chiuso ogni spira-glio agli alleati confermando l’aumento della pressione fiscale».

I colleghi di partito in Vigilanza Rai non sono stati da meno, denunciando una maggioranza «completamente divisa» sulla tv pubblica, con FdI «che vuole occuparla», la Lega «che desidera affossarla» e «Forza Italia preoccupata solo di non perdere spazi pubblicitari», con riferimento a Mediaset. Il titolare del Mef è tornato anche sui fondi pensione nell’audizione davanti alla commissione di controllo dedicata (sempre ieri). Il governo «valuterà attentamente gli emendamenti sulla previdenza complementare», ha spiegato, perché è un capitolo «cruciale» per le politiche economiche del Paese. Se poi dovesse arrivare un intervento, non sarà certo «calato dall'alto», ma «sentendo i soggetti coinvolti, le parti sociali e il Parlamento». Non ci dovrebbero essere particolari problemi, perché almeno su questo, ha puntualizzato Giorgetti, c'è una «sensibilità comune». Probabile che Meloni si aspetti convergenza anche su un altro elemento, che però riguarda il decreto fiscale e ha a che fare con il sostegno alle donne (ieri la Giornata dedicata alla lotta contro la violenza di genere). «Abbiamo da fare tutta la revisione delle tax expenditure, e tra queste c'è anche la detrazione per il coniuge a carico: penso che le risorse della detrazione del coniuge a carico non debbano andare al coniuge che lavora ma al coniuge a carico. Una cosa banale, che non cambia la vita di nessuno, però è un messaggio, un principio: non dipendere».

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