lunedì 25 novembre 2024
Nella giornata contro la violenza sulle donne è stato condannato l'ex barman che uccise a Senago la compagna 29enne, Giulia, incinta di sette mesi
Alessandro Impagnatiello ieri in aula alla lettura della sentenza

Alessandro Impagnatiello ieri in aula alla lettura della sentenza - Fotogramma

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Alessandro Impagnatiello, 31 anni, l'ormai ex-barman dell'Armani Bamboo di Milano è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giulia Tramontano, 29 anni, incinta di sette mesi del piccolo Thiago, l'occultamento del cadavere e l'interruzione di gravidanza non consensuale, con tutte le aggravanti richieste dalla pm Alessia Menegazzo e dall’Aggiunta Letizia Mannella, a partire dalla premeditazione, e con la sola eccezione dei futili motivi, oltre all’isolamento diurno di tre mesi, più 700 mila euro di provvisionale alla famiglia. Un verdetto, arrivato dopo circa due ore e mezzo di camera di consiglio per certi versi atteso, come ha confidato il padre di Giulia, Franco Tramontano: «Non dico che fosse già scritta, ma, con quello che è risultato dalle indagini e dal processo, era impossibile che andasse diversamente», ha detto il genitore dopo la lettura della sentenza.

Tutti se l'aspettavano, ma ognuno ha reagito a modo suo. Fedele al copione delle udienze precedenti, fino all’ultimo, anche ieri Impagnatiello è rimasto impassibile, verrebbe quasi da dire a testa alta. Giusto un digrignar di denti ha tradito la sua reazione alla lettura della sentenza. Più o meno nello stesso momento in cui gli agenti della penitenziaria lo hanno portato fuori dall’aula come un legno, la madre di Giulia Tramontano, Loredana Femiano, ha abbandonato il capo sulla spalla del figlio Mario e si è lasciata andare in un pianto liberatorio. Alla sua sinistra il padre Franco era combattuto tra volgere il capo verso di loro, e, allo stesso tempo, distoglierlo, fissandosi sull’unico spazio rimasto vuoto nell’aula sovraffollata, oltre i banchi su cui erano incellofanati le rose e un paio di scarpine da bimbo. «Per me è il nulla, fondamentalmente non rappresenta niente», dirà poi dell'uomo che ha ucciso sua figlia fuori dall’aula.

Alla lettura della sentenza qualcuno ha provato a far partire un applauso, ma è stato incenerito con gli occhi dalla presidente della corte d’Assise Antonella Bertoja, dopodiché i giudici hanno lasciato l’aula a loro volta. Applausi che non sono certamente partiti dai banchi dei parenti di Giulia Tramontano: «Abbiamo perso la nostra vita, io non sono più una mamma, mio marito non è più un papà, e i nostri figli saranno segnati a vita per questo dolore. Perché parlare di vendetta?», domanda Loredana Femiano. «Comunque noi resteremo sempre perdenti», gli ha fatto eco il padre Franco. La sentenza è arrivata nel giorno della giornata contro la violenza di genere. Un anno e mezzo dopo il delitto di Senago (27 maggio 2023), dopo dieci mesi di processo e tredici udienze, alcune delle quali particolarmente sofferte, come quando sono state proiettate le foto del ritrovamento del cadavere, o il filmato della feta per il baby shower del piccolo Thiago, o quando l’imputato ha chiesto scusa. «Non ha rotto uno specchietto retrovisore», lo gelò la sorella di Giulia, Chiara Tramontano. E, ancora, dopo la testimonianza in aula della stessa Chiara Tramontano che rivelava la routine del lutto: «Ora è solo andare al lavoro e andare al cimitero», alla quale ieri ha fatto eco sempre suo padre Franco: «Non ci sono più feste, c'è solo il lavoro che ci fa andare avanti».

Impagnatiello, che ha confessato quando è stato messo alle strette nelle indagini dei carabinieri del Nucleo investigativo, uccise Giulia con 37 coltellate sferrate principalmente al collo e al torace nella loro abitazione. Quel giorno stesso la ragazza, 29 anni, si era incontrata con la donna con cui l'ex barman aveva una relazione parallela e le due si erano confrontate in merito alle bugie e agli inganni di cui negli ultimi mesi erano state vittime entrambe. Una volta rientrata a casa, Giulia sarebbe stata sorpresa da un vero e proprio agguato da parte del fidanzato, che fino ad allora era stato come uno scacchista che muoveva le sue pedine. Dopo l'omicidio, Impagnatiello provò per due volte a bruciare il corpo («tentai di cancellare tutto - aveva detto - come se far sparire una persona fosse buttare una caramella»), decidendo, poi, di nasconderlo in un'intercapedine dietro ad alcuni box a poche centinaia di metri da casa. La procuratrice aggiunta Letizia Mannella e dalla pm Alessia Menegazzo, che la scorsa udienza avevano chiesto l'ergastolo e 18 mesi di isolamento al termine di una requisitoria definita un "viaggio nell'orrore".

L'ex barman avrebbe anche tentato di avvelenare la compagna incinta per mesi con topicida e ammoniaca (oltre ad essersi procurato del cloroformio sotto falso nome). Nel corso del processo Impagnatiello era stato sottoposto ad una perizia psichiatrica disposta dalla Corte, ma lo psichiatra forense Pietro Ciliberti e il medico legale Gabriele Rocca lo hanno ritenuto capace di intendere e volere, anche se "narcisista, psicopatico e bugiardo". Ieri i parenti avevano al petto la coccarda rossa, simbolo della lotta alla violenza sulle donne, appuntata con una spilla che raffigurava Giulia con il pancione. Impagnatiello, per la gioia dei fotografi, che ieri hanno potuto finalmente riprenderlo per la prima volta in aula, non ha trovato niente di meglio che sfoggiare un magione a losanghe che, senza far ricorso a gran voli pindarici, rimandava ad una grata.

Dopo la lettura della sentenza, fuori dal tribunale si è svolta una manifestazione contro la violenza organizzata dal comitato pari opportunità dell’ordine degli avvocati, alla quale ha preso parte la famiglia della 29enne uccisa. «Non lasciamo che i ragazzi diventino uomini che non conoscono il rispetto verso le donne. Prima che nelle scuole, deve nascere nell’animo della società, deve nascere in noi, per far sì che non ci troviamo qui ogni volta a sperare che una donna non sia stata uccisa perché aveva solo il desiderio di essere libera», ha sottolineato la sorella Chiara, prendendo la parola. «Ci sono tanti casi di donne che vorrebbero andar via - non era il caso di mia sorella - e il tessuto sociale non lo consente, non ci sono disponibilità economiche. Si rimane incastrati in questa rete in cui ci si illude che il supporto sia il proprio aguzzino. È lì che la società dovrebbe intervenire. - ha aggiunto, per poi concludere -. Mi auguro che non ci sia nessun’altra famiglia che viva questo dolore. E che qualsiasi donna veda l’immagine di mia sorella si ricordi che ha il diritto di vivere, di amare».

Anche se per i Tramontano «non ci sono più feste e c'è solo lavoro e cimitero», la madre ha detto di conservare sempre «mille ricordi di Giulia» che la tengono viva e contribuiscono a tenere insieme la famiglia. «Voglio ricordare il suo ultimo audio del 27 maggio, il giorno in cui è morta ci siamo messaggiati l’intera mattina sulla culla e lei mi dice: mamma, mi raccomando, non ti dimenticare il paracolpi per la culla che mi hanno regalato Mario e Chiara». Mario, il fratello, invece, non si è sentito di dire niente; così sua madre ha parlato anche per lui. «Quando ha saputo (che la sua compagna) aspettava un bimbo Mario mi ha subito detto: “Per me è un femminuccia... e sarà Giulia e sarà Giulia”. Anche se noi eravamo preoccupati all’inizio perché sentire il suo nome, sentire: “Giulia, Giulia!”, sarebbe stato doloroso... ora invece quando guardo la bimba, solo in quel momento riesco a cacciar via il dolore e provo solo amore».

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