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Diciotto mesi per eliminare i ghetti dei braccianti migranti. Ma senza l’obbligo di sostituirli con “campi container”. È quanto stabilito ieri nell’incontro a Roma tra i sindaci del Foggiano e i responsabili del Dipartimento per la coesione territoriale e per il Sud, sui fondi previsti dal Pnrr per superare i cosiddetti “insediamenti” informali. Tempi stretti, dunque, nessuna proroga rispetto al 30 giugno 2026, e quindi i Comuni dovranno rimodulare i propri progetti, in stretta collaborazione con la Regione Puglia che ha assicurato il proprio sostegno anche economico.
Sembra riannodarsi così un rapporto costruttivo dopo settimane di contrasti che avevano portato i sindaci dei nove comuni del Foggiano che sui propri territori ospitano la maggior parte dei ghetti a esprimere «profonda delusione e preoccupazione» per come il Governo intendeva procedere. Il Pnrr ha destinato 200 milioni di euro a 29 Comuni in 8 Regioni (3 al Nord, 4 al Centro, 22 al Sud) e di questi ben 114 erano destinati proprio alla provincia di Foggia, tristemente famosa per luoghi come “Borgo Mezzanone”, il “Gran ghetto di Torretta Antonacci”, “Borgo Tre Titoli”, dove vivono circa 8mila braccianti immigrati. La scelta di destinare più del 50% delle risorse è giustificata dal fatto che nella provincia vive il 90% degli immigrati beneficiari della misura.
Questa prevede il recupero di «soluzioni alloggiative, di trasporto, di assistenza sanitaria e d’istruzione, dignitose per i lavoratori del settore agricolo». Dunque non solo case vere, ma progetti di integrazione e inclusione. Così i Comuni si sono dati da fare, hanno realizzato progetti e li hanno inviati a Roma per il finanziamento. Ma tutto si è bloccato per un anno e mezzo. «È seguito il nulla», denunciano i sindaci. Fino al 4 giugno quando il Governo ha nominato un commissario straordinario (l’ex prefetto di Latina, Maurizio Falco), già previsto da marzo, proprio per accelerare i tempi. Ma le prime indicazioni non sono piaciute ai sindaci. Così i primi cittadini di Foggia, Manfredonia, San Severo, Cerignola, San Marco in Lamis, Lesina, Poggio Imperiale, Carpino e Carapelle, hanno inviato una lettera al commissario denunciando che «il lavoro svolto dai Comuni per la strutturazione dei Piani di azione locale (Pal), redatti in conformità alle Linee Guida ministeriali, sembra essere vanificato dalle nuove direttive. Queste ultime, pur mirate a velocizzare la realizzazione delle soluzioni abitative, non affrontano adeguatamente il tema centrale dell’integrazione dei migranti». E qui era arrivata l’accusa più grave.
«L’installazione di moduli prefabbricati – denunciavano i sindaci in riferimento alle intenzioni del Governo – rischia infatti di ridursi a un semplice trasferimento fisico dei ghetti, senza risolvere le problematiche strutturali e sociali che affliggono il territorio». Ghetti di “scatoloni” di metallo invece degli attuali di baracche. Invece, scrivevano, i piani dei comuni “sono stati concepiti per rispondere alle esigenze specifiche di ciascun contesto, puntando non solo a fornire soluzioni abitative, ma anche a promuovere l’integrazione dei migranti nel tessuto sociale, attraverso la cooperazione tra istituzioni locali, organizzazioni sociali ed economiche”. Un approccio che, secondo i sindaci, «rappresenta l’unica via efficace per affrontare il fenomeno dello sfruttamento dei lavoratori agricoli e le complesse problematiche legate agli insediamenti abusivi». I sindaci ricordavano di aver presentato i propri Pal entro il 10 gennaio 2023 ma «a fronte della mancata sottoscrizione delle convenzioni necessarie con il Ministero del Lavoro, i progetti sono rimasti fermi per oltre un anno».
E ora dal Governo arrivava la proposta dei container. Una scelta vista dai primi cittadini come «una deviazione sostanziale rispetto agli obiettivi iniziali e rischia di compromettere il raggiungimento degli obiettivi prefissati». I comuni, invece, chiedevano che i Pal venissero esaminati e approvati e concesse le proroghe necessarie per la realizzazione. Inoltre, sollecitavano un intervento più deciso da parte del commissario straordinario e una maggiore collaborazione tra i vari enti coinvolti, inclusa la Regione, per assicurare la sostenibilità finanziaria e operativa dei progetti. Ricordiamo che il Pnrr prevede che siano realizzati entro il 30 giugno 2026. «Quello per Borgo Mezzanone richiede molto più tempo – ci spiega, Domenico La Marca, sindaco di Manfredonia (destinataria di 53 milioni), a lungo operatore a fianco degli immigrati –, perché prevede accoglienza diffusa, con case vere, il recupero degli ex borghi agricoli. Ma i tempi sono ormai molto stretti».
Per questo assieme alla sindaca di Foggia, Maria Ida Episcopo, Comune partner del progetto, il 5 novembre aveva inviato una nuova lettera di sollecito al commissario. Come risposta il 20 novembre a tutti i 29 comuni è arrivata una lettera del Commissario che confermava di privilegiare la scelta di “moduli abitativi”, con l’aggiudicazione degli appalti entro il 30 giugno 2025, escludendo progetti con tempi più lunghi. Inoltre si invitava ad affidarsi alla centrale di committenza Invitalia per la fornitura e l’installazione dei moduli. Ieri l’incontro di chiarimento. «Non abbiamo ottenuto la proroga dei tempi ma vanno avanti i nostri progetti col sostegno della Regione – commenta La Marca –. Hanno fatto un passo indietro. Noi abbiamo ribadito che non ci tiriamo fuori perché sarebbe una sconfitta per tutti. È un’opportunità che non possiamo perdere».