A Lussemburgo piovono pietre sull’"anticipo" del nuovo quadro dei conti italiani e Giovanni Tria, il ministro dell’Economia finito nella bufera per la brusca correzione di rotta "ordinata" dai giallo-verdi rifà il bagaglio e torna a Roma.
Con i riflettori puntati sull'Italia non si può lasciare la Nota di aggiornamento al semplice livello di bozza, quindi Tria rientra (disertando l’Ecofin del 2 ottobre, dove a rappresentare l’Italia sarà il direttore del Tesoro, Alessandro Rivera) per dedicarsi alla messa a punto del testo che va consegnato in Parlamento, mentre i tecnici del Tesoro stanno rifacendo i calcoli dopo che i numeri sono stati cambiati giovedì sera. Perché la realtà è che, al di là dei "4 numeri" enunciati, del testo non c’è traccia.
A Roma, per tutto il giorno sono tornate a circolare voci su possibili dimissioni del titolare del Tesoro, senza dubbio indebolito in Europa dopo aver tenuto (cedendo clamorosamente alla fine) la linea dell’1,6% di deficit. Voci che, però, non hanno trovato riscontro. A sera, anzi, dall'inquilino di via XX Settembre arriva un’ammissione: «Questa è una manovra di crescita. Se vinciamo la scommessa della crescita tutto va bene, se non la vinciamo allora cambieremo manovra». La parola d’ordine nei Palazzi resta "non drammatizzare". Se ne fa interprete Luigi Di Maio: «Il rientro di Tria? Credo fosse già programmato, non c’è nessuna ragione d’emergenza», precisa il vicepremier M5s. Per poi passare subito a confermare che la linea di navigazione resta salda: «Non c’è alcuna motivazione per mettere in discussione il 2,4%» fissato per 3 anni al deficit, «c’è qualche istituzione europea che gioca a fare terrorismo sui mercati, ma il governo è compatto».
Il riferimento al francese Moscovici è immediato: «Un commissario si è svegliato e ha pensato di alimentare tensioni sui mercati contro l’Italia», ha aggiunto facendo notare che lo spread si è impennato, ma non troppo rispetto a venerdì. L’esponente pentastellato ha anche preannunciato altre riunioni di governo sul "nuovo" Def nei prossimi giorni, col premier Conte e i ministri principali (a partire dalla "cabina di regia" sul piano per gli investimenti che si terrà stasera). Più tardi, tuttavia, parlando in tv a Rete4, anche Di Maio torna a smussare un po’ i toni: «La mia idea è che dobbiamo dialogare al massimo con l’Ue e sono sicuro che ci dirà di sì».
Il calo del debito. La tranquillità sbandierata (almeno in apparenza) da Tria e la sicurezza di Di Maio stridono però con i messaggi in arrivo dall’Europa e dai mercati, che abbassano il livello di credibilità dell’Italia. È un punto più degli altri a non convincere. Tria ha affermato ieri (e lo aveva fatto domenica in un’intervista) che sul debito pubblico ci sarà «una discesa dal 2019», nell’ordine di un punto l’anno. Come ciò possa avvenire con un deficit al 2,4% in rapporto al Pil e una crescita indicata all’1,6% l’anno venturo, è un mistero anche per gli addetti ai lavori. Si è sempre detto - non a caso - che è il 2% il livello di Pil per stabilizzare il debito e avviare una sua discesa. Il ministro ha poi sostenuto che già l’eredità del governo Gentiloni è più grave: per via della minore crescita (già nel 2018) e dell’annullamento (in deficit) degli aumenti Iva, il dato tendenziale del deficit 2019 sarebbe del 2%. Che poi sale di uno 0,2% (oltre 3 miliardi) per maggiori investimenti, quindi la spesa corrente salirebbe soltanto di un altro 0,2%.
Il mistero della nuova clausola. Dopo essersi fatto vanto di aver annullato la clausola sull’Iva, l’altro punto che ha faticato a far presa a Lussemburgo è quello della nuova clausola di salvaguardia: che però, a differenza del recente passato, non sarà sulle entrate, ma prevede tagli di spesa per non superare di più l’obiettivo di deficit. Una controindicazione rispetto al perno "ideologico" della manovra ’19: se la spesa pubblica è concepita come arma per far ripartire il Pil (e ridurre il deficit), perché prevedere poi dei tagli di spesa come extrema ratio? Intanto, Di Maio torna a parlare pure del reddito di cittadinanza: potrebbe essere "caricato" sulla tessera sanitaria (dotata di chip) e speso solo in Italia, in modo da far rimanere quello che esce dalle tasche dello Stato all’interno dei confini nazionali per far crescere i consumi. Ma i punti da chiarire restano ancora tanti.