domenica 11 luglio 2021
Abusata in Brasile, venduta per i suoi organi ai trafficanti europei, dirottata su un bordello di Dortmund. Il racconto di un calvario di 23 anni, fino alla fuga a Torino: «Ora aiuto le altre come me»
Liliam, una vita da schiava: «Vi spiego perché questo non è un lavoro»

Ansa

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Dei suoi 41 anni, Liliam, ne ha vissuti 23 da schiava. Incatenata agli abusi e alle violenze fin da bambina, quando in una catapecchia di Recife, in Brasile, gli uomini di famiglia usavano il suo corpo per tutto: la soddisfazione personale, la spesa, l’acquisto di droga, i favori agli amici. Lei sorrideva sempre, per quel difetto – sembra una beffa – che madrenatura le ha appiccicato al volto dalla nascita: le labbra tirate nella smorfia di Joker al posto del terrore e della sofferenza. Così nessuno aveva pietà di lei, nemmeno quando alla fine l’hanno venduta: carne da macello per il traffico d’organi nella lontana Europa, mazzette agli scali internazionali per farla arrivare in Francia prima, in Germania poi, corpi di bambine denudati e stesi sul pavimento di un appartamento di Dortmund, per selezionare i “pacchetti” destinati al mercato dell’orrore. «Pensavo che sarei morta finalmente, che sarei stata libera». E invece no, c’era ancora quel sorriso, e il “gringo” che decideva chi doveva vivere e chi morire la scelse per il suo bordello: «Mi piaci tu, che non piangi. Ti porto con me».

Nella Germania della legge sulla prostituzione – che nel Paese dal 2002 viene considerato un testo di civiltà, regolamentando il “mestiere” e tutelando dal punto di vista sanitario le donne – le bambine sono, allora come oggi, vittime d’un circuito invisibile e illegale che macina profitti da capogiro. Come se la differenza tra la violenza e il lavoro la decidesse l’anagrafe. «Ci portavano ogni giorno in una casa diversa, da uomini diversi, la mattina la cocaina per essere collaborative, docili », racconta Liliam. Ogni giorno per quattro interminabili anni, fino ai 18, quando la ragazza decide di farla finita buttandosi dal settimo piano di un palazzo. Sopravvive, si sveglia dal coma, quando torna dal suo “pappone” tedesco «mi dice 'Liliam tu puoi fare tutto quello che vuoi, basta che paghi il debito che hai con me'».

E il debito non finiva mai: le visite, la spesa, i vestiti, le medicine, la droga. Liliam pensa che l’unico modo per uscire dall’incubo è trovare un uomo che la ami e che la sposi. E lo trova, solo che è violento. La picchia, la umilia, lei di nascosto continua a pagare i suoi debiti prostituendosi finché quando rimane incinta decide di scappare da tutto, anche da lui. Destinazione Torino. È lì che nel 2006 prova a ricostruirsi una vita lontano da tutto e da tutti. Corona il suo sogno, viene presa a lavorare in una bottega e diventa pasticciera, conosce un altro uomo che la sposa, le dà altri due figli, poi le cose finiscono male di nuovo: «Non ha mai capito che chi ero, cosa avevo vissuto, come sono cambiata. Dalla prostituzione si esce, ma solo con il corpo – racconta Liliam –. Ogni uomo, ogni stupro, è come una bomba atomica che ha devastato l’anima prima col suo impatto, poi con le radiazioni. Si sopravvive, ma si continua a morire.

E questa devastazione non può essere chiamata lavoro, non può essere chiesta o regolamentata da un Paese e da un governo». Oggi Liliam è entrata in Resistenza femminista, gruppo di riferimento per la lotta alla prostituzione. Aiuta le ragazze che come lei provano a liberarsi dalla schiavitù mentre la politica dibatte del tema nei salotti, lontano dalla realtà che vivono le vittime. «L’unica ragione che ho per continuare a vivere nel modo che ho descritto, con le mie radiazioni, è quello di impedire che ad altre succeda quel che è successo a me. Provare a salvarle, provare a tener vive anche loro. Il mio senso oggi è questo».

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