ANSA
A Trieste, alla Settimana sociale di inizio luglio, ci sono stati diversi “fili rossi”. Uno di questi è stato l’invito a riprendere un dialogo «costituente» sulle riforme istituzionali. Non solo: nell’analizzare le cause del crescente astensionismo è stato messo a fuoco, a fianco alla questione sociale che certamente allontana dalla politica, anche l’effetto distorsivo delle ultime due leggi elettorali, il “Porcellum” e il “Rosatellum”, entrambe caratterizzate da un elemento oggettivo: oggi il potere di scelta dei parlamentari è in gran parte nelle mani delle segreterie dei partiti e dei leader. Forti poi della posizione assunta dalla Conferenza episcopale italiana prima dell’evento di Trieste, i delegati a più riprese hanno rimarcato i rischi per l’unità sostanziale del Paese di un’autonomia regionale mal governata.
Verso una stagione referendaria
Tutti questi temi sono finiti o stanno per finire in una nuova stagione referendaria che si annuncia carica di significati politici e sociali, specie se a chiudere il cerchio sarà, come prevedibile, il referendum confermativo sul premierato. Ma se il quesito abrogativo dell’autonomia differenziata ha immediatamente goduto della grancassa mediatica, grazie all’appoggio massiccio di un vasto schieramento di forze politiche, sindacali, sociali e associative, i quesiti referendari per superare la legge elettorale e introdurre elementi di democrazia interna ai partiti - questioni sulle quali la politica stessa a parole si straccia le vesti un giorno sì e l’altro pure - veleggiano in solitaria e controvento. Tutta la politica dice che il tema è vero e urgente, eppure i quesiti ora in campo sono abbandonati nei fatti da un sistema dei partiti che evidentemente non vuole abbandonare i benefici dell’attuale assetto. È comprensibile: a chi non farebbe gola nominare i parlamentari a tavolino e gestire una forza politica senza dover dare conto più di tanto a istanze pluralistiche?
Eppure, come detto, l’astensionismo dovrebbe suonare non come un campanello d’allarme, ma come una vera sirena d’emergenza. E forse non è un caso che proprio diverse delle energie presenti a Trieste si stanno dedicando ai “quesiti silenziati”, fosse anche solo per dare una testimonianza, nella consapevolezza che è ai limiti dell’impossibile raggiungere il quorum delle firme senza godere di un minimo di visibilità pubblica.
I quesiti per cambiare la legge elettorale
Da questo punto di vista aiuta la nuova piattaforma pubblica digitale lanciata dal ministero della Giustizia - un tardivo passo di civiltà su cui tanti governi si sono passati la palla - che consente di raccogliere le firme on line. La piattaforma ha dato una spinta decisiva al quesito sull’autonomia e potrebbe dare una seconda vita sia ai referendum sia alle leggi d’iniziativa popolare sinora “oscurate”. Ma bisogna conoscerle, innanzitutto.
Sulla legge elettorale sono sulla piattaforma quattro quesiti del Comitato “Io voglio scegliere” che puntano ad abrogare pezzi del Rosatellum. Su due in particolare ci sono diffusi consensi “teorici” anche dei partiti: quello riguardante la possibilità di esprimere due voti separati sui collegi uninominali e plurinominali, oggi invece blindati in un “pacchetto unico”; e quello riguardante l’abolizione delle pluricandidature, l’italico vizio di piazzare lo stesso nome in più parti d’Italia purché, in qualche modo, entri in Parlamento. Gli altri due quesiti riguardano la possibilità di cancellare le soglie minime da raggiungere per un partito (il Comitato ritiene che l’obbligo per le piccole realtà di aggregarsi alle grandi in realtà demotivi chi non si sente rappresentato da forze politiche polarizzate) e l’abrogazione della norma che consente ai partiti già presenti in Parlamento di non raccogliere le firme per presentarsi al voto, lasciando questo pesante onere solo a chi deve farsi spazio. Per i 4 quesiti abrogativi servono 500mila firme, traguardo ora molto lontano.
Sulla legge elettorale il Comitato “Io voglio scegliere” ha presentato anche una legge d’iniziativa popolare - servono 50mila firme - che semplicemente introduce le preferenze nell’attuale sistema elettorale.
Le proposte per la democrazia nei partiti
Sul fronte della democrazia interna ai partiti, proprio due realtà presenti a Trieste, le Acli e Argomenti2000, hanno presentato due leggi di iniziativa popolare, per le quali servono 50mila firme. La prima prevede esplicitamente che i partiti abbiano procedure interne informate dal criterio democratico (nomine, incarichi, conti, indirizzi politici...). La seconda invece istituisce e regolamenta le Assemblee partecipative, per ricucire quel rapporto sempre più rarefatto tra politica e territori. Anche queste proposte sono sulla piattaforma digitale. Ma sinora per la democrazia reale dei partiti, così come per la legge elettorale, l’unica iniziativa concreta assunta dal sistema politico è stata quella di ignorare deliberatamente i quesiti.