Bambini tra le macerie di Gaza - Ansa
Qual è lo stato di salute del sistema umanitario? Come affrontare una situazione di instabilità senza precedenti, dove le violazioni del diritto umanitario internazionale sono sistematiche e gli attacchi sui civili sempre più frequenti e impuniti, il lavoro degli operatori umanitari sempre più insicuro, l’accesso alle popolazioni bisognose di aiuti sempre più spesso ostacolato? Ne abbiamo discusso a Roma, nelle scorse settimane, nel corso del terzo Congresso umanitario promosso da Intersos in collaborazione con la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Viviamo in un mondo in transizione, segnato dalla più grave crisi del sistema multipolare nato dalle macerie della II Guerra Mondiale: il vecchio equilibrio già alle spalle, davanti a noi una nuova normalità che mette in discussione i nostri valori e principi fondamentali. Lo abbiamo constatato anche durante il nostro congresso ascoltando la testimonianza di Marta Lorenzo di Unrwa e accendendo un riflettore sulla crisi a Gaza e nei territori palestinesi occupati. Sentiamo il dovere di portare non solo il sistema, ma lo spirito umanitario dall’altra parte di questo mare in tempesta, accettando tutte le sfide di cambiamento, ma sapendo di portare con noi un bagaglio prezioso. Lo ha evidenziato, durante i nostri lavori Martin Griffiths, ex sottosegretario delle Nazioni Unite per gli Affari umanitari e coordinatore degli aiuti in emergenza: è vero, il diritto umanitario internazionale è come non mai sotto attacco, ma è anche vero che mai come ora il mondo discute della sua importanza e, come ha sottolineato, Françoise Bouchet-Saulnier, del Dipartimento Legale di Msf, non ci sarebbero violazioni se non ci fosse una legge da violare, e, “in questo momento, siamo nel bel mezzo di una guerra combattuta con le armi e di una guerra giuridica in cui gli Stati distruggono ciò che percepiscono come nemici: le Ong, i media e le persone. Distruggono attraverso le uccisioni e la propaganda, delegittimando gli obiettivi per rendere la distruzione normale”.
È un attacco a quegli strumenti, come ha sottolineato nel suo saluto il cardinale Matteo Zuppi, grazie ai quali i conflitti possono e devono essere risolti senza l’uso delle armi. Allo stesso tempo la capacità delle Nazioni Unite e della comunità internazionale di risolvere i problemi politici si sta riducendo. “L'Onu è stata fondata per salvare le generazioni successive dal flagello della guerra, ma oggi ci sono più guerre che mai. Il Consiglio di Sicurezza sembra occuparsi principalmente di questioni umanitarie e non di risolvere i problemi politici. Abbiamo bisogno di strutture diverse che coinvolgano le persone, non solo i governi” ha detto Martin Griffiths. Non possiamo non fare i conti con un mondo profondamente cambiato negli ultimi decenni: “L'idea di standard umanitari universali è un concetto occidentale, radicato nel colonialismo e nelle eredità degli imperi – ha sottolineato Fabrizio Maronta, Responsabile delle relazioni internazionali di Limes - oggi, molti Paesi precedentemente al di fuori della struttura di potere rifiutano questa universalità. Affermano la loro sovranità e rifiutano di essere vincolati ai valori occidentali. Nel frattempo l'Occidente sta vivendo una crisi di fiducia e di influenza”.
Sono riflessioni che hanno messo al centro della nostra discussione il rapporto tra umanitarismo e decisori politici. Un confronto necessario. Noi stessi dobbiamo essere più consapevoli della politica e dire di no quando è necessario. Dobbiamo avere chiarezza interna su quelle che sono le nostre linee invalicabili e sul modo in cui affrontiamo la politicizzazione degli aiuti, ma prima dobbiamo mettere ordine nella nostra “casa umanitaria”. Dobbiamo essere umili e non sopravvalutarci, migliorando invece il nostro livello di analisi. Il nostro mandato è limitato e non siamo la soluzione a tutti i problemi, ma dobbiamo continuare a lavorare con passione. Una parola chiave che un umanitario non può mai dimenticare.
Direttore Generale Intersos