Milano: l'arcivescovo Delpini presiede in Duomo la Messa nella festa di san Carlo Borromeo, compatrono della diocesi - foto Braccini
Un «cantico d’amore» controcorrente. Per testimoniare e lodare la «bellezza originale» di una Chiesa «sempre santa e sempre peccatrice». Che «mentre offre il suo servizio è guardata con sospetto». E mentre, con «amore tenace», «continua a curarsi dei più fragili e poveri», è «circondata dall’indifferenza, dall’ottusità, dalla stupidità dei ricchi e dei potenti». Nella festa di san Carlo Borromeo, compatrono della diocesi di Milano, l’arcivescovo Mario Delpini dà voce al suo predecessore e intona un «cantico d’amore» per la Chiesa ambrosiana e per la Chiesa universale, e per lo «spettacolo» di un’unità che non è mai omologazione ma armonia di differenze, come il Sinodo dei vescovi appena concluso (e che aveva Delpini fra i partecipanti) ha dimostrato.
È nell’omelia della Messa presieduta lunedì 4 novembre alle 17,30 in Duomo che Delpini ha provato a «esprimere i sentimenti» di san Carlo «verso la Chiesa». In molti modi egli intonò quel «cantico d’amore»: «con le sue prediche, anche quelle noiose, con i suoi provvedimenti, quelli lungimiranti e quelli del puntiglio, con le sue lacrime e la sua dedizione tenace, infaticabile fino all’esaurimento». Ebbene: qual è il «principio generatore» di «un’opera così straordinaria come quella dell’applicazione del Concilio di Trento alla riforma della Chiesa?». Non «il volontarismo» ma «l’amore appassionato per Gesù e la condivisione del desiderio di Gesù di rendere bella, santa, immacolata la sua Chiesa». Ed è per lei, «la Sposa dell’Agnello», ed è «perché sia santa e immacolata» che Gesù, «lo Sposo, dà la vita», scandisce Delpini – che prima della Messa si è raccolto in preghiera nello Scurolo di San Carlo, la cappella sotterranea nella quale è custodito il corpo del compatrono.
Ecco: «io canto della bellezza originale dello spettacolo della Chiesa universale», di questa moltitudine di uomini e donne di «ogni lingua, popolo, nazione – com’è stato con l’Assemblea sinodale appena conclusa – convocati e contenti di edificare il corpo di Cristo – ha esclamato Delpini –. Canto la fierezza e lo stupore perché in nessun luogo della terra, in nessuna istituzione degli uomini si dà questo convergere in comunione, per un servizio volonteroso e paziente». E poi: «canto della bellezza della comunione», «radunata dallo Spirito» e «frantumata dai puntigli e dai risentimenti, dalle incomprensioni e dalle ferite antiche», e «canto della moltitudine immensa delle persone che edificano la comunità, dei preti dedicati, dei santi della porta accanto, di quelli “che ci sono sempre” e sono anche capaci di lasciare il posto perché altri si facciano avanti mentre questi santi senza pretese continuano ad amare, servire, pregare».
E poi: «continuo a cantare di questa folla di uomini e donne – scandisce il presule – che prova simpatia per l’umanità ed è ricambiata dall’antipatia e dal disprezzo. Continuo a cantare di quella pazienza e mitezza della comunità che continua ad amare e servire tutti, anche coloro che si sentono in diritto di criticare e pretendere. Continuo a cantare di quella misericordia che prova compassione dell’umanità ferita e avverte di essere compatita e disprezzata». Ancora: «canto la bellezza di quest’opera prodigiosa della riforma della Chiesa» e «di questa stupefacente disponibilità a riconoscere i suoi peccati e a cercare in ogni tempo percorsi di rinnovamento, dentro un’umanità che più che convertirsi trova giustificazione ai suoi delitti... Canto dell’umiltà della Chiesa peccatrice. Canto del suo cammino verso la Gerusalemme del cielo».