Un'immagine dell'incontro tra don Maurizio Patriciello e Carmine Schiavone - M.P..
La mia terra, per sete di denaro, è stata stuprata. Un patto scellerato fu stipulato tra camorristi e industriali senza scrupoli, politici corrotti e menefreghisti. Non ebbero pietà. E la terra avvelenata prese ad avvelenare la nostra gente, a cominciare dai bambini. Dopo anni di rassegnazione, il popolo insorse. Scese in strada. Protestò. Chiese aiuto. Pianse. Invocò. Occorreva chiamare a raccolta le persone di buona volontà. Andai con loro. Ci imbarcammo in un’impresa non facile. Mi immersi in un mondo che non conoscevo. Ripresi a studiare. Dai libri di filosofia e teologia passai a quelli – per me insopportabili - sui rifiuti, urbani, industriali, tossici, liquidi, solidi. A quelli sullo smaltimento illegale per fare cassa. Non mi piaceva. In libreria, l’occhio cade sempre sui grandi classici del pensiero e della letteratura. Sulla vita dei santi e sulla storia della Chiesa. Sul rapporto scienza e fede. Ma bisognava obbedire al Signore che mi indicava il cammino da seguire. Ci inoltrammo per strade sconosciute. Pronti a essere osannati e calunniati, premiati e denigrati.
Chiesi aiuto, innanzitutto, al giornale che amiamo e con il quale da qualche anno avevo iniziato a collaborare. Avvenire si fece nostro compagno di avventura. Se oggi gli italiani possono contare su una legge sui reati ambientali - che non c’era - lo devono anche all’impegno di Avvenire. Compresi che occorreva bussare a tutte le porte, senza timori, senza orgogli, senza ritrosie. Noi non eravamo politici costretti a enfatizzare le vittorie del proprio partito e a sminuire quelle altrui. Noi eravamo Chiesa, con le braccia aperte a tutti, credenti e non credenti, chiamata a obbedire al comando dell’amore. Ci immergemmo in un mondo sconosciuto e pericoloso.
Gli imbrogli erano stati, e continuavano a essere, tanti. Tanti reati erano stati commessi ma mai puniti. Colletti bianchi, ormai insozzati, avevano fatto affari con la malavita. Sulle loro tavole venivano serviti cibi succulenti e vini prelibati costati la vita a tanti innocenti. La camorra, nella Terra dei fuochi, aveva avuto grandi responsabilità nel disastro ambientale. Rabbia. Incredulità. Dolore. Tanti malavitosi avevano, poi, indossato la casacca del pentito. Un nome, tra gli altri, correva sulla bocca di tutti, quello di Carmine Schiavone, ex cassiere del famigerato clan dei Casalesi, tra i più sanguinari del pianeta. Dopo aver collaborato con la giustizia e scontato la sua pena, Schiavone, era ormai un uomo libero. E, a quanto mi era dato sapere, disposto a rivelare notizie interessanti. Dovevo, a tutti i costi, incontrarlo. Viveva in una località segreta. Come fare? Gli scrissi una lettera aperta: «Carmine, fratello mio… » e dopo essermi presentato, gli chiedevo di collaborare con noi, di dirci quello che sapeva, di indirizzarci sulla strada giusta. Nessuno più di lui avrebbe potuto sapere come erano andati certi traffici maledetti. «Ti benedico. Padre Maurizio» scrissi nel chiudere la lettera. Non ero certo che sarebbe finita nelle sue mani, non ero certo che gli avrebbe fatto piacere, non ero certo che avrebbe accolto il mio invito. Non ero certo di niente, ma bisognava osare. Nella vita sempre bisogna osare. Per un cristiano, poi, osare l’impossibile diventa un dovere. Egli, spinto dal desiderio di fare il bene, sa di poter contare non solo sulle sue forze, ma sul Signore che sempre mantiene le promesse.
Inaspettatamente, Carmine si fa vivo. Ci demmo appuntamento nella sede di un giornale. Arrivammo in quattro. L’emozione era tanta. L’aria tesissima. Sedemmo a un lungo tavolo. «Sono rimasto colpito della tua benedizione - disse, guardandomi negli occhi -, mai nessuno mi ha benedetto». Fu a questo punto che Marilena, la mia amica giornalista, esperta del clan dei Casalesi, sanguigna, coraggiosa, che di certo non le manda a dire, irruppe: «Benedirti? Per tutto il male che hai fatto alla nostra terra? Io ti maledico… ».
Schiavone, punto sul vivo, si arrabbiò, si alzò, rispose malamente. Ebbi paura. Rischiammo di mandare tutto all’aria. A fatica, riuscimmo a riportare la calma. «Carmine, ti ho cercato per chiederti aiuto. Lasciamo da parte il passato. La nostra gente sta morendo. Dicci quello che sai. Come hai collaborato un tempo a farci male, ti chiedo oggi di unirti a noi per la salvezza della nostra terra, del nostro popolo», dissi.
Schiavone prese a parlare. Un fiume in piena. Restammo insieme per più di quattro ore. Fu devastante. I nostri volti impallidivano a ogni sua rivelazione. Mi sentivo male. Avrei voluto fuggire ma anche scendere con lui negli anfratti del suo cuore. Lo fissavo. Un vecchietto basso, dai capelli bianchi. Un uomo come tanti. Un nonnino che avresti potuto incrociare davanti a una scuola mano nella mano con la nipotina. Possibile che questa persona anziana, a prima vista innocua, abbia commesso decine di omicidi? Tante cose le sapevamo già, ma ascoltarle dalla sua bocca fu diverso. Faceva nomi e cognomi. Indicava paesi e indirizzi dove, nel tempo, erano stati sepolti rifiuti tossici arrivati dal centro e dal nord Italia. Ci disse che non furono i camorristi a contattare gli industriali disonesti ma questi ultimi a cercare loro.
La narrazione del male esercita su di me un fascino uguale e contrario a quella del bene. Le cose, le ricchezze materiali, le comodità, il lusso, non mi hanno mai dato eccessive emozioni. È l’uomo, il suo mistero, il suo mondo, le sue idee, le sue scoperte, le sue domande, il suo rapporto con Dio, che mi affascinano. Ho avuto la grazia di incontrare nella mia vita qualche santo. Ho fatto chilometri per potergli parlare. Sono unici. Le loro parole sono lance che ti trafiggono. Ti fanno decidere di fare sempre e solamente il bene. Ho conosciuto anche tanti fratelli che la vita altrui hanno calpestata, violentata, uccisa. Anche costoro m’inquietano. Anche con loro voglio confrontarmi. Anche da loro voglio imparare.
A Schiavone chiesi come si sentisse dopo aver commesso un omicidio. «Solo la prima volta – disse – non ho dormito la notte… poi ci si abitua». Terribile. La scala che porta verso il cielo è la stessa che sprofonda nell’inferno. Sta a noi decidere, oggi, se salire un gradino o iniziare la discesa, che diventa sempre più ripida. L’uomo è immenso. È fragile. È immortale. È poca cosa. È miserabile. È figlio di Dio. La mente vaga mentre Carmine parla. Basta. Occorre uscire da quella sala. Stavo impazzendo. Lui, Schiavone, continua a raccontare. Mi alzai, gli altri mi seguirono. Sulla soglia mi sfilai il Tau che sempre indosso e glielo adagiai sul petto. Non lo tolse più. Ho saputo che con quell’oggetto sacro fu sepolto qualche anno dopo. Ci salutammo. Fuori, in mezzo alla gente, noi quattro, ci abbracciammo e piangemmo come bambini. Mio Dio, che ti combina il male!
Da quella volta prese a telefonarmi spesso. Aveva tanta voglia di parlare. Compresi che, a modo suo, mi voleva bene. Mi teneva per ore incollato al telefono. Parlava quasi sempre lui. Di che cosa? Un giorno, durante un incontro, in una pubblica piazza, qualcuno mi fece la stessa domanda. Stavo rispondendo quando mi accorsi che un mio confratello, certamente migliore di me, dal pubblico si alzò e se ne andò. «Don Maurizio, sembra che vada facendo il processo di beatificazione a Carmine Schiavone, dimenticando che è stato un sanguinario camorrista», disse. No, si sbagliava. Non stavo facendo, e non è mia intenzione fare, alcun processo di beatificazione a nessuno. Chi ci giudica è il Signore. Sto solo raccontando di un incontro. E a chi mi chiede di quali argomenti un ex malavitoso voleva discutere con me prete, io non posso mentire.
Carmine Schiavone con me non ha più voluto rivangare il suo orripilante passato. Per ore e ore, invece, amava intrattenersi a parlare di Dio e di papa Francesco da cui si sentiva affascinato e che avrebbe voluto incontrare. E di don Peppino Diana, a suo dire, un vero, grande prete. Questa è la verità. Il cuore dell’uomo è un abisso insondabile. Nel fondo del quale, se lo vuole, anche chi è stato ammaliato dal male più feroce può incontrare Dio.