Il recupero del corpo di un morto sul lavoro
Le parole sono importanti, soprattutto quando raccontano di tragedie. E le morti sul lavoro sono una delle più grandi tragedie della nostra società, con decine di migliaia di famiglie segnate per sempre dalla scomparsa di un proprio caro. Proprio per questa ragione, le morti sul lavoro non sono mai “morti bianche”, perché non c'è proprio nulla di candido, men che meno di immacolato, in queste vicende. Da queste considerazioni, è partito Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico di Firenze e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, per lanciare l'appello, in primo luogo alla stampa, a «non chiamare più le morti sul lavoro, morti bianche». «È un termine assurdo e ipocrita», sottolinea Bazzoni, che da gennaio tiene la contabilità delle vittime del lavoro, dando loro un volto e un nome. «Che non sono numeri di una statistica, ma persone», ricorda il lavoratore toscano. Ad oggi, le morti sul lavoro sono 332, ma salgono ad oltre 700 se si considerano anche le vittime “in itinere”, cioè lungo il tragitto casa-lavoro e viceversa. Qui l'elenco.
«Termine che umilia e sminuisce»
«Il termine “morti bianche” - riprende Bazzoni - umilia, sminuisce le tante, troppe morti sul lavoro, quasi non ci fossero mai dei responsabili. Ma questi eccome se ci sono e molto spesso sono più di uno. Per questo, le morti sul lavoro non sono mai “morti bianche”, ma dipendono dall'avidità di chi si rifiuta di rispettare anche le minime norme per la sicurezza sul lavoro. È anche partendo dal linguaggio che si combatte una battaglia per una maggiore sicurezza sul lavoro».
Chi volesse aderire all'appello, può scrivere a marco.bazzoni01@libero.it