martedì 19 novembre 2024
I tre giovanissimi lavoratori hanno perso la vita nell'esplosione di un laboratorio abusivo per la fabbricazione di fuochi d'artificio
Le gemelle Aurora e Sara Esposito, 26 anni, morte nell'esplosione con Samuele Tafciu, 18 anni

Le gemelle Aurora e Sara Esposito, 26 anni, morte nell'esplosione con Samuele Tafciu, 18 anni - Ansa

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Non soltanto il laboratorio di Ercolano per la produzione di fuochi d’artificio era del tutto illegale e senza le necessarie autorizzazioni e le tre giovanissime vittime, reclutate al bar del paese, lavoravano in nero, del tutto digiune delle più elementari nozioni di sicurezza. Ora pare che anche la polvere pirica utilizzata fosse di scarsa qualità. Insomma, tutto ciò che in questa storia di degrado e povertà poteva andare male è andato persino peggio. E, il giorno dopo la strage di via Patacca, suonano come un triste monito le parole di Peppe Jossa, sindaco di Marigliano, comune in provincia di Napoli dove vivevano Samuele Tafciu, 18 anni, origini albanesi e padre di una bimba di 4 mesi e le gemelle Sara ed Aurora Esposito di 26, che nella palazzina dove venivano confezionati i botti hanno perso la vita a causa di una violentissima esplosione. «La morte non può essere il prezzo che deve pagare chi, pur di sbarcare il lunario, accetta un lavoro che lavoro non è», tuona il primo cittadino. Che definisce i tre giovani «vittime sacrificali» di un sistema che evidentemente ha perso di vista il valore della persona che lavora. E non soltanto in situazioni di marginalità, come questa di Ercolano, visto che, ogni giorno, in Italia, almeno tre persone escono di casa per andare a lavorare senza più tornare.

Parole durissime anche dal sindaco di Ercolano, Ciro Bonajuto: «Davanti a una simile tragedia dobbiamo dirlo chiaramente: tutti coloro che hanno visto e non hanno denunciato sono in qualche modo corresponsabili. Pensare che un laboratorio illegale di fuochi d’artificio potesse esistere all’interno di un appartamento senza che nessuno intervenisse è qualcosa che non riesco a spiegarmi».

Su questa ennesima strage di lavoratori toccherà alla magistratura fare piena luce. La procura di Napoli ha aperto un fascicolo per omicidio colposo plurimo e disastro colposo, sequestrando l’area dove sorgeva la palazzina. Che si è scoperto, era intestata a una 13enne del luogo. Il reale proprietario è il padre della ragazzina, un napoletano di 38 anni, che è stato denunciato. L’esplosione ha danneggiato anche alcuni edifici della zona. Una scuola per l’infanzia ieri mattina è rimasta chiusa in via precauzionale. Due abitazioni attigue alla “fabbrica” sono state evacuate: si tratta di due nuclei composti in totale da dieci persone.
«Lavoro nero, in una fabbrica “nera” dove la materia prima da maneggiare era la polvere nera. Senza alcun contratto, senza formazione, tre giovani vite spazzate via da un’esplosione che richiama noi tutti a una riflessione profonda», è l’amara considerazione del presidente del Cnel, Renato Brunetta, che ieri ha aperto i lavori del convegno “Infortuni sul lavoro: un’emergenza nazionale”.

A far luce su questo particolare segmento di mercato, quello della Pirotecnia, sono i dati dell’Anmil, l’associazione delle vittime del lavoro e dei loro familiari. In Italia ci sono meno di trecento aziende, con circa seicento addetti e, per la maggior parte, sono concentrate in tre regioni: Campania, Sicilia e Puglia. Nel corso dell’ultimo quinquennio disponibile (2019-2023), dalle elaborazioni statistiche Anmil sui dati Inail, sono stati rilevati, in questo minuscolo settore, un totale di circa 70 lavoratori infortunati, di cui 10 con esiti di invalidità permanente e 20 letali: una media di 4 morti l’anno. «Questa tragedia – commenta il presidente nazionale Anmil, Emidio Deandri – ha l’amaro sapore di un problema che sembra non risolversi. Le morti sul lavoro bastano a far crescere percentuali statistiche che però non guardano al dolore né di chi resta a piangere le vittime né di chi sente il peso di una guerra in cui nessuno può chiamarsi fuori ma che ci vede rivivere ogni volta una dramma che abbiamo già vissuto».

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