giovedì 24 marzo 2016
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Più trasparenza sui luoghi di culto, priorità alla formazione dei giovani musulmani nelle scuole e maggiori investimenti nella mediazione culturale per evitare i proselitismi dell’islam radicale. È l’agenda obbligata delle democrazie occidentali, che unisce l’Italia al resto d’Europa, se si vuol far tesoro della lezione amara di Parigi e Bruxelles. «Innanzitutto, bisogna rendere indipendenti le comunità musulmane europee dai riferimenti che hanno nei Paesi del Golfo – riflette Paolo Branca, islamista dell’Università Cattolica di Milano –. Nasca finalmente un islam d’Europa, non in Europa». È necessario affrancarsi in molti casi dai finanziamenti ricevuti dall’estero, che spesso finiscono per condizionare la visione degli imam e ne alimentano gli estremismi. Tagliare il fiume di petrodollari gestito in modo oscuro soprattutto dalle autorità saudite, diretto poi nei Paesi occidentali, sarebbe dunque un primo passo nella direzione della chiarezza, per capire «chi dice cosa, ispirato da chi e con quali risorse». Da tempo, sia pur con una certa lentezza, l’obiettivo dichiarato dall’Ucoii è quello di rendere fruibili in più lingue (compresa quella del posto) i sermoni nelle moschee, ma adesso è necessario fare di più, specificando «quale tipo di governance e di mission si sono dati questi luoghi». Anche perché il modello multiculturale in Gran Bretagna ha fallito, così come l’islam francofono che ha finito per annullare i simboli religiosi e ghettizzare, anche fisicamente, comunità diverse in base all’etnia e alla religione. Un rischio, quello delle nuove Molenbeek, da cui almeno in parte il nostro Paese sembra per fortuna escluso. «Quanto alle scuole, si riparta da un insegnamento meno eurocentrico della storia e si allarghino gli interessi degli studenti alle realtà presenti, ad esempio, sul Mediterraneo – prosegue Branca –. Poi c’è il discorso sempre valido dei mediatori culturali: sono figure preziosissime, ma sono troppo poche e non ci sono soldi per pagarle. Eppure quando si parla di cittadinanza e di integrazione con i musulmani di seconda generazione, non si dovrebbe ragionare secondo la logica dell’emergenza ». L’altro fronte su cui agire con tempestività resta quello del carcere, dove in assenza di antidoti prospera il fondamentalismo che strumentalizza la religione e si riaccendono focolai di ribellione anti-occidentale. «In cella non si fa prevenzione, invece sarebbe necessario muoversi per disinnescare anche in questo caso le armi fortissime della propaganda » sottolinea Branca, assai preoccupato dall’incapacità dell’Europa di mettere a punto una strategia in grado di isolare il fondamentalismo. «Dobbiamo svegliarci e invece siamo inerti e invecchiamo. Manca evidentemente la voglia di immaginare un futuro nel medio-lungo periodo e le divisioni che registro su Siria e Libia sono il segnale che l’Occidente non sa cosa fare per ricostruire un domani ciò che i bombardamenti possono distruggere». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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