«Io prima donna italiana a diventare premier? Proprio non ci penso. Non brigo per arrivare da nessuna parte, cerco solo di essere all’altezza del compito e di non deludere chi ha fiducia in me. Se andrò a Palazzo Chigi, saranno gli elettori italiani a deciderlo…». Un anno e mezzo fa, intervistata da Avvenire, la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni si schermiva così, con parole a metà fra la scaramanzia e la profezia, sull’eventualità di arrivare dove infine, ieri è arrivata: la prima italiana che diventa presidente del Consiglio. Un incarico a tempo di record: solo 26 giorni dopo le elezioni che l’hanno portata a sfiorare il 30%. Lei lo accetta senza riserva.
Essenziale e diretta, come il look che sceglie per salire al Quirinale: tailleur Armani blu come la camicia e decollete di velluto. Unico vezzo, il tacco a spillo oro da 12 e la chioma sciolta, che cambia rispetto alla coda bassa della mattina. Così si limita a leggere la lista dei ministri e 16 ore dopo è pronta a giurare. L’esponente politica che più di tutte ha bruciato le tappe, a 45 anni approda a Palazzo Chigi. È la prima presidente del Consiglio romana doc, dopo l’ultimo esempio di “romanità” incarnato addirittura dal “divo” Giulio Andreotti e dopo la lunga sfilza di premier politici venuti da lontano come Silvio Berlusconi da Arcore, il bolognesissimo Romano Prodi o i toscani Enrico Letta e Matteo Renzi. All’occasione che aspetta da tempo, al traguardo politico più ambito Meloni arriva, sul piano geografico, dalla Camilluccia, zona “bene” della Roma nord.
Qui passa l’infanzia. Ma è una parentesi, prima del trasloco forzato alla Garbatella, quartiere popolare a sud. Colpa di un incendio a cui contribuisce, a 4 anni insieme alla sorella, lasciando una candela accesa nella capanna costruita in cameretta. Se la dimenticano per guardare Candy Candy in tv e il fuoco divora l’appartamento. La madre, mille lavori e un compagno già andato via di casa, ricomincia da zero. Un esempio che resta impresso nella mente della leader che nel 2008 fonda Fratelli d’Italia, partito nato dalle ceneri di Alleanza nazionale. «Forse è così che ho trovato il coraggio di rifondare una casa politica», racconta nella sua autobiografia, pubblicata da Rizzoli. E scherza: «Se l’avevo visto a 4 anni, perché non riuscirci a 35?». Per Giorgia, Garbatella è il suo vero quartiere. Lì ci abitavano i nonni. Un bilocale e un letto da dividere con la sorella, «una da capo e una da piedi», come le imponeva nonna Maria. La brandina da sola, in cucina, arriverà anni dopo.
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Origini popolari sempre rivendicate, anche adesso che abita in una casa a schiera nella zona residenziale di Mostacciano, con il compagno Andrea Giambruno, giornalista Mediaset, e la figlia Ginevra, di cui aveva annunciato di essere in attesa nel 2016, durante il Family Day. Nella Garbatella celebrata dalla serie sui Cesaroni, si celebra pure il suo battesimo politico. A 15 anni bussa alla sede del Fronte della gioventù, dietro casa, spinta dallo choc per l’attentato a Paolo Borsellino. Tanto che, dopo l’incarico, guardando una foto del giudice alla Camera, dice: «È un cerchio che si chiude». Da giovane, nella sede dell’Msi, trova «la sua seconda famiglia». La stessa che l’affianca nella militanza in Azione giovani e in An, trampolino per l’elezione alla Camera diventando la più giovane deputata di quella legislatura, a 29 anni. Due anni dopo, un altro record: è la ministra più giovane dell’Italia repubblicana nel quarto governo Berlusconi. Adesso, a conclusione della storia, gran parte di colleghi e amici è lei a sceglierli come ministri. Alcuni li decide insieme agli alleati. Gli ultimi - pare - in solitaria, forse esausta per il tira e molla con Matteo Salvini e Silvio Berlusconi. Una parte non piccola della sua crescita politica si deve poi ad “Atreju”, la manifestazione politica giovanile della destra italiana da lei creata e fatta crescere come un laboratorio politico.
Ma quando qualcuno tira fuori l’eredità post-fascista della destra e i retaggi di xenofobia, lei ribatte: «L’accusa di razzismo mi perseguita dal primo giorno, insieme a quella di fascista, è l’epiteto con cui ti squalificano rendendoti indegna di una risposta». Il navigare controvento l’ha temprata. Dopo la delusione delle primarie cancellate da Silvio Berlusconi, nel 2012 decide di andarsene dal Popolo della Libertà e poi di fondare Fratelli d’Italia, insieme a Guido Crosetto e Ignazio La Russa. Ne diventa presidente e, un pezzo per volta, ne costruisce l’identità. Nel 2018, decide di puntare sulla scelta dell’opposizione, al governo giallo-verde, a quello giallo-rosso e poi alla larga e variegata coalizione che sostiene Mario Draghi. I sondaggi la premiano mese dopo mese. Anni in cui, fra il sostegno al sovranismo trumpiano e la fondazione dei Conservatori e riformisti europei, strizza l’occhio all’ungherese Orban e ripete refrain come quello sul blocco navale, ora diventato una meno irrealistica «missione navale europea». Scivola poche volte, ad esempio sulla candidatura di Michetti a sindaco di Roma.
Per il resto, è determinata e sagggia, sfumando le posizione del passato in virtù di un europeismo più convinto. L’autoironia la aiuta, come quando trasforma il refrain di due dj sulla sua frase “Sono Giorgia, sono una madre, sono cristiana” in qualcosa che accresce la sua popolarità. Ma il cuore “a sinistra” di Garbatella non fa sconti anche se quella famiglia l’ha conosciuta da vicino. Marina era l’amica del cuore di Anna Paratore, mamma di Giorgia Meloni.
«Abitavamo nello stesso condomino io e Anna, nelle case popolari: giocavamo assieme con la corda, a campana -dice Marina- politicamente non la penso come loro però è una donna, e questa è una cosa non indifferente». Al Socrate, al Palladium, nel bar reso noto dai Cesaroni, nei parchetti davanti la parrocchia oggi si parla di questo, discorsi divisi tra scettici e sostenitori. Una voce di donna spunta da un’auto, «con Meloni cambia tutto». I ragazzi seduti alle panchine mostrano indifferenza presi da TikTok. I vecchietti più in là intenti a giocare a carte tagliano corto: « Noi parliamo di Roma-Napoli». Garbatella, dicono loro, « prima di essere rossa è giallorossa».