Si può dare di più. Il Parlamento può, anzi avrebbe il dovere di andare oltre la mera applicazione delle due sentenze parzialmente abrogative delle leggi elettorali di Camera e Senato, è opportuno intervenire per un’opera di armonizzazione delle due normative. La Corte Costituzionale ha rese note nelle tarda serata di ieri le motivazioni della sentenza con la quale, lo scorso 25 gennaio, veniva parzialmente bocciata la legge elettorale della Camera, il cosiddetto Italicum. Come si ricorderà a finire sotto la scure della Consulta era stato il ballottaggio, che sarebbe dovuto scattare nell’ipotesi che nessuna lista superasse il 40 per cento che dà diritto al premio di governabilità, mentre le pluri-candidature dei capilista erano state 'salvate' a patto che l’opzione sul seggio non fosse lasciata agli eletti, ma affidata al sorteggio. Anche se ora l’invito è a individuare una procedura specifica. Ma il vero nodo è dato, ora, per via della bocciatura della riforma costituzionale, dalla necessità di riprendere in mano anche la legge elettorale del Senato, della quale l’Italicum non si occupava, sul presupposto - poi smentito dai fatti - del passaggio della riforma, che lo avrebbe reso non più elettivo.
Dopo che dal Quirinale era stata sollecitata alle forze politiche l’esigenza di intervenire per rendere omogenee le due normative - esigenza posta alla base del prosieguo stesso della legislatura, con la nascita dell’esecutivo Gentiloni - ci si aspettava che la Corte Costituzionale non mancasse di dire la sua sulla questione. Le due sentenze, quella del 25 gennaio come quella del 2014 relativa al Porcellum, sono infatti entrambe 'auto-applicative', non potendosi immaginare che l’ordinamento resti privo di una norma per andare al voto in ogni momento. Ma questo non limita, naturalmente, la facoltà del Parlamento di intervenire in modo più incisivo nella revisione delle norme e soprattutto in direzione della loro tendenziale uniformità o compatibilità. A pagina 94 delle 99 pagine delle motivazioni in risposta alle istanze provenienti da ben 5 Tribunali c’è il punto più importante. «Fermo restando quanto appena affermato - dicono i giudici dopo aver respinto i rilievi di costituzionalità per la normativa della Camera - non può esimersi dal sottolineare che l’esito del referendum ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parità di condizione e funzioni delle due Camere elettive». Dunque, essendo confermato il cosiddetto bicameralismo paritario, «in tale contesto la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non devono ostacolare, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee».
È esattamente l’esigenza che è stata sottolineata più volte dal capo dello Stato. Quanto alla bocciatura del ballottaggio, la Consulta, come era prevedibile, fa riferimento alle ragioni che avevano già portato, nel 2014, a bocciare l’abnorme premio di maggioranza previsto. Con il ballottaggio previsto dall’Italicum, il principio di rappresentanza «non è garantito » dato che «una lista può accedervi anche avendo conseguito, al primo turno, un consenso esiguo e ciononostante ottenere il premio, con un effetto distorsivo analogo» a quello individuato per il Porcellum. Quanto ai capilista bloccati, «il sistema non lede la libertà del voto dell’elettore», potendo questi esprimere sino a due preferenze, per candidati di sesso diverso tra quelli che non sono capilista. Circa questi ultimi, tale indicazione è «tanto più delicata in quanto quei candidati sono bloccati, deve essere svolta alla luce del ruolo che la Costituzione assegna ai partiti».
Le motivazioni della sentenza: servono maggioranze omogenee. Considerato lesivo il premio col ballottaggio
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