Roberta Pinotti, ministro della Difesa
«Berlino ci scuote. Sesto San Giovanni ci scuote. Questo sangue e questo terrorismo nuovo ci scuotono. Un terrorismo più insidioso perché più imprevedibile. Nessun Paese è a rischio zero, ma l’Italia ha combattuto le Brigate rosse e le mafie. Ha affinato le strategie investigative. Ha servizi di intelligence esperti... Le professionalità e le esperienze di allora sono decisive per fronteggiare la minaccia di oggi».
Roberta Pinotti, ministro della Difesa, si racconta a voce bassa. «Non ho paura. Non avverto mai una vera sensazione di pericolo. Semmai sento una gigantesca responsabilità legata al mio ruolo, un dovere verso il Paese... E al Paese dico "guai pensare di non vivere più, guai smettere di vivere come abbiamo vissuto fino ad oggi, guai rinunciare alle nostre libertà e lasciare che il fronte del terrore condizioni le nostre scelte. Così faremmo solo un regalo ai terroristi».
Sono ore di riflessioni amare. Ore per provare a stoppare polemiche e speculazioni. «È vero, l’attentatore di Berlino, un jahadista tunisino, era arrivato a Lampedusa nel 2011. Ma non accetto l’equazione profugo-terrorista. Non ci sto. In tre anni sono sbarcati sulle nostre coste in 500 mila. Disperati. Povera gente in fuga dalla fame e dalla guerra...». Ancora una pausa, poi il ministro della Difesa riprende senza cambiare tono. «L’immigrazione è un fenomeno da governare con umanità e anche con rigore, ma guai seguire tracce sbagliate. Dietro agli attentati di Madrid, di Londra, di Parigi, di Bruxelles, di Nizza non c’erano terroristi arrivati sui barconi, c’erano immigrati che erano cresciuti in quelle città e, in quelle città, si erano radicalizzati».
Come si risponde alla minaccia?
C’è una strada maestra. Muoverci come Europa, costruire un’offensiva comune. Non basta un generico scambio di informazioni. Serve di più, serve un grande patto nell’Unione. Serve un salto di qualità nella collaborazione tra gli Stati membri. Servono azioni comuni, strategie comuni, legislazioni comuni, politiche comuni. Serve una sicurezza europea. E non sono solo belle parole. C’è un progetto di difesa europea che abbiamo presentato alla Ue con Gentiloni quando era ministro degli Esteri...
E quale risposta avete avuto?
Germania e Francia hanno capito e sono avanti rispetto agli altri. Noi abbiamo il dovere di insistere. Di avviare una discussione vera tra i Ventotto. Poi, si può anche partire con un nucleo stretto. Ma bisogna accelerare e le cerimonie per i Trattati di Roma a fine marzo possono essere l’occasione per dare un primo segnale concreto. Si fissi un punto: la lotta al terrorismo e la gestione dell’immigrazione meritano politiche innovative, coraggiose e comuni.
Anche nell’ultimo vertice a Bruxelles però l’Unione è rimasta muta
Vedo il solito egoismo, la solita mancanza di visione e di lucidità politica. Nessuno dei grandi problemi è stato affrontato con spirito europeo. L’immigrazione è stata lasciata esplodere e così si rischia di uccidere un grande sogno e di lasciare spazio alle spinte populiste. In Francia avanza Marine Le Pen; in Germania mostra i muscoli Frauke Petri. Si alzano i muri anti migranti: il Brennero, Calais, anche Orban difende l’Ungheria da un’invasione che non c’è.... Rinchiudersi è miope. E trasformare il dibattito su immigrazione e sicurezza in un ennesimo scontro è ingiusto, è sbagliato.
Succede anche in Italia
Non è il momento di cercare dividendi politici e sarebbero ignobili speculazioni che facciano leva sulla paura. È il momento di mostrare generosità. Unità. Coesione. Il dramma immigrazione sarà lungo e doloroso; ci vorranno decenni per vedere la luce. L’Africa è sconvolta da guerra, da fame, da disperazione. E la risposta non può essere solo fermiamo i barconi. Non basta. Anzi non serve. La strada è rimuovere le cause di questo drammatico esodo. Ridare una prospettiva al Sud del mondo. Creare in Africa condizioni di vita nuove. Aiutiamoli a stare lì. Aiutiamoli come Europa. Come Onu. Aiutiamoli perchè la spinta rischia di diventare incontrollabile: entro la metà del secolo l’Africa passerà da uno a quasi due miliardi di abitanti.
Come immagina la sfida dell’accoglienza?
L’immigrato è il nostro prossimo, ma può anche essere un peso molto difficile da sopportare. Io vivo in un quartiere dove c’è stata una forte immigrazione e capisco gli sforzi di tante comunità. Integrazione è una parola bella, ma difficile da declinare. Bisogna far camminare insieme umanità e rigore. E questo significa dare all’immigrato un’occasione di riscatto, ma anche pretendere il rispetto delle nostre regole, delle nostre leggi, direi quasi del nostro modo di vivere.
Il riscatto da dove parte?
Dal lavoro. Con il lavoro l’immigrato ritrova dignità e la comunità che lo ospita comincia ad osservarlo con uno sguardo diverso. Recentemente ho visitato una mostra del Ceis nel comune di Campo Ligure. Foto in bianco e nero di immigrati. Come sono e come immaginano la loro vita. Vogliono integrarsi. Vogliono lavoro. Vogliono un’occasione. Questa è una strada: un grande piano di lavori socialmente utili per i profughi. Ore da spendere per la comunità in cui si vive già nel periodo in cui l’immigrato attende la decisione della commissione sulla domanda di asilo.
C’è chi faticherà a capire...
I dati economici sono chiarissimi: gli immigrati sono una ricchezza per le nostre comunità, per il nostro Paese. E quando sento dire che tolgono lavoro ai nostri giovani, mi viene da pensare a chi a inizio secolo se la prendeva con le donne. Anche allora si diceva "le donne se ne stiano a casa perchè non possono togliere lavoro agli uomini". Oggi tutte le statistiche dimostrano che il lavoro femminile fa un gran bene al Pil.
Il nodo immigrazione e quello terrorismo sembrano intrecciarsi con il conflitto che scuote la Libia. Che succede davvero?
Daesh oggi fa meno paura, ma la battaglia sarà ancora lunga. In Libia i terroristi hanno subito colpi duri, ma i folli proclami di Al Baghdadi agitano ancora il mondo e armano la mano di lupi solitari. Saranno scosse imprevedibili. Attacchi isolati. Ma l’Italia c’è, l’Italia ha gli anticorpi. Abbiamo fronteggiato situazioni che tutti definivano ad alto potenziale rischioso come l’Expo e il Giubileo. Lo abbiamo fatto bene. Senza costringere il Paese a stravolgere stili di vita e abitudini. Faremo ancora così.