Don Roberto Malgesini nel corso di una celebrazione
Don Roberto ha pagato per molti, placando la sete di vendetta del suo assassino. La morte del sacerdote comasco ha impedito almeno altri due omicidi all’arma bianca. Perché Radhi Mahmoudi aveva in mente una mattanza. E non era dal prete che voleva cominciare.
In cima alla lista delle sue manie persecutorie c’erano due avvocati comaschi, da lui accusati di non essere riusciti a impedire l’espulsione verso la Tunisia, che oramai era data per certa. Un odio che il 53enne serbava anche nei confronti del prefetto Ignazio Coccìa, a suo dire reo di non avere respinto il provvedimento di rimpatrio e di avere partecipato a una congiura ai suoi danni.
Prima del 15 settembre Mahmoudi aveva provato a tendere un agguato ai legali, ma non era riuscito a trovarli. Così ha pensato che con don Roberto sarebbe stato più facile.
Sarà complicato per i magistrati stabilire il confine tra la follia delle farneticazioni e la lucidità con cui è stato commesso l’omicidio. La lettura dell’ordinanza con cui il giudice delle indagini preliminari ha convalidato l’arresto è una continua discesa negli abissi del male.
Da due mesi Mahmoudi covava la sua rappresaglia. «Nelle ultime settimane lo avevamo visto più nervoso e irrequieto del solito», avevano raccontato nei giorni scorsi ad Avvenire alcuni dei volontari che con il sacerdote valtellinese si prendevano cura dei più poveri.
«L’indagato ha riferito di avere acquistato il coltello all’incirca nella metà del mese di luglio al Bennet di Tavernola (il supermercato sito in un quartiere della cintura comasca, ndr), con l’intenzione di difendersi da “brutti ceffi” e al fine di utilizzarlo nei confronti delle persone che riteneva lo avessero tradito», scrive il giudice. «In particolare, nei confronti del prete Don Roberto e degli avvocati Rusconi», da cui si era sentito abbandonato perché a suo dire «di comune accordo con il prefetto avevano indotto l’oculista», un professionista indicato dal reo confesso con nome e indirizzo, «a redigere un certificato medico falso, nel quale si certificava che la sua patologia agli occhi poteva essere curata in Tunisia». Accertamento medico che di fatto aveva fatto svanire ogni residua speranza di restare in Italia.
«Erano giorni che tentava di rintracciare gli avvocati Rusconi – scrive ancora il giudice Laura De Gregorio – con l’intenzione di ammazzarli e, non essendovi riuscito, aveva maturato l’idea di uccidere il prete». Nelle ventiquattr’ore precedenti Rhadi aveva incontrato don Roberto. Avrebbe potuto tentare di aggredirlo. Ma, a dimostrare secondo il giudice la chiara premeditazione, «aveva deciso di non colpirlo, perché voleva attendere il giorno del suo processo. Riferiva infatti che il 15 settembre 2020 avrebbe dovuto svolgersi davanti al Giudice di Pace di Como un’udienza» per la violazione dell’obbligo di allontanarsi dal territorio nazionale. Così, come aveva rivelato il quotidiano "La Provincia", ha atteso proprio la mattina del 15, «in preda alla rabbia, armato di coltello, si era recato a Piazza San Rocco per attuare il suo progetto omicidiario».
Qui la cronaca giudiziaria diventa la cronaca di un martirio. «Poco prima delle ore 7.00 aveva notato don Roberto che era intento a caricare sulla sua vettura i termos di caffè e le colazioni da distribuire ai senzatetto. Mentre il prete continuava il suo andirivieni dalla parrocchia alla macchina, aveva atteso il momento propizio per aggredirlo». Lo ha preso alle spalle. «Il sacerdote si era abbassato per posare una scatola nel veicolo».
Da quel preciso istante comincia il calvario di don Malgesini. La ricostruzione del magistrato è dettagliata. Ci sono le parole di un testimone oculare e i riscontri delle scientifica. Tanto da far sembrare la successiva ritrattazione del reo confesso come alla partitura di una disperata messa in scena. Ad oggi neanche l’avvocato d’ufficio ha ancora deciso se chiedere la perizia psichiatrica per il suo assistito.
Colpito dalle prime pugnalate all’addome, secondo il racconto di Mahmoudi, don Roberto avrebbe tentato di fermarlo con l’unica arma che conosceva: provando a parlare al cuore di un uomo in quel momento spietato, chiedendogli perdono se non era riuscito ad aiutarlo abbastanza. Le parole di un «martire della carità», come lo ha definito il vescovo Oscar Cantoni, che davanti al corpo di quello che sembrava un Cristo deposto, aveva pianto come un padre.
Prima di consegnarsi ai carabinieri Mahmoudi ha infierito sul corpo, a sua volta ferendosi. Fino, aggiunge il magistrato citando i primi esiti dell’autopsia, al «tentativo di decapitazione non portato a termine».