Non esterna ancora le proprie valutazioni politiche sull’esito del voto, il premier e segretario del Pd Matteo Renzi, ma il suo umore non è dei migliori. Alla parata del 2 giugno sorride affabile, stringe le mani dei cittadini che vogliono manifestargli affetto, ma non rilascia dichiarazioni, salutando i cronisti con un asciutto: «Oggi parla solo Mattarella». Il suo "silenzio" mediatico, tuttavia, non deve ingannare: la sconfitta in Liguria fa ancora male e il leader del Pd, insieme al gruppo dirigente Dem e ai fedelissimi, sta elaborando la strategia più efficace per serrare i ranghi in vista del probabile
redde rationem interno con la minoranza, previsto nella Direzione convocata per lunedì.Ufficialmente, la valutazione della tornata elettorale resta quella espressa nelle scorse ore: «È un risultato positivo. Il voto regionale conferma la guida salda del Pd, non solo a livello nazionale ma nei territori – argomenta il ministro per le Riforme
Maria Elena Boschi –, perché nelle 12 Regioni andate al voto nell’ultimo anno e mezzo, a guida di Renzi, il Pd ha vinto in 10 casi, strappandone alcune che erano governate dal centrodestra, fra cui la Campania». Di parere opposto la minoranza, i cui interventi di lunedì potrebbero essere giocati sul concetto dell’«emorragia di voti»: un milione quelli persi dal Pd rispetto alle politiche del 2013, 600mila in meno rispetto alle regionali di quello stesso anno, due milioni in meno delle europee 2014, quelle del celebrato 40,8%. Le correnti di minoranza, bersaniani in testa, affermano di non sentirsi nell’angolo né pensano di lasciare il Pd: che ci provino a cacciarci via, è il loro ragionamento, questo partito è casa nostra, anzi stavolta più che mai dovrà ascoltare le nostre istanze e correggere il tiro sulle riforme, a iniziare dal ddl scuola al vaglio del Senato. Sul fronte opposto, fra i renziani più intransigenti c’è chi chiede al segretario di porre ai "malpancisti" un
aut aut: nessuno sarà messo alla porta, ma chi crede nel progetto riformista del Pd sia coerente o ne tragga le conseguenze. Alla stretta potrebbe contribuire il risiko degli avvicendamenti sui territori (dove Renzi vorrebbe intaccare il potere di alcuni "ras" locali) e nelle istituzioni, a iniziare dal ruolo di capogruppo alla Camera lasciato libero da Roberto Speranza: potrebbe toccare all’attuale vicario Ettore Rosato o al vicesegretario Lorenzo Guerini. In tal caso, il nuovo vice del Pd potrebbe essere l’attuale sottosegretario Luca Lotti, da anni al fianco di Renzi.A rendere friabile il terreno della trattativa e ad avvelenare il clima contribuiscono gli strascichi delle elezioni campane, sulle quali pende del resto la spada di Damocle della legge Severino. Martedì si è registrato un nuovo botta e risposta fra il neo-governatore Vincenzo De Luca e la presidente della commissione parlamentare Antimafia Rosy Bindi. I due erano giunti ai ferri corti dopo la pubblicazione della lista dei cosiddetti "impresentabili", nella quale insieme ad altri 15 candidati figurava l’ex sindaco di Salerno, che non l’aveva presa bene annunciando querela. «Non lo farà, non ci sono i presupposti», aveva ribattuto Bindi. Ma ieri il neo-governatore ha depositato in questura a Salerno una querela per i reati di diffamazione, abuso d’ufficio e attentato ai diritti politici costituzionali. I suoi legali sostengono che abbia subito un danno d’immagine e che Bindi, pubblicando la lista, sia andata oltre i compiti assegnati dalla legge alla commissione Antimafia e abbia influito sulla formazione della volontà popolare. «È una denuncia priva di ogni fondamento e puramente strumentale, con scopi diversi da quelli che persegue la giustizia. Non mi crea alcuna preoccupazione», è la glaciale risposta di Rosy Bindi. Al suo fianco si schierano altri componenti Dem della commissione, come Davide Mattiello («De Luca quereli anche me») e Alessandro Naccarato, ma anche Walter Verini e l’esponente della minoranza interna Corradino Mineo, convinto che l’attacco sia una «cortina fumogena per coprire la prossima sospensione». Ma l’iniziativa di De Luca non è la sola: fuori dal Pd, annunciano querela alla Bindi pure
Sandra Lonardo Mastella e Luciano Passariello, anche loro inclusi nella lista.