Agenzia delle entrate - IMAGOECONOMICA
I termini del concordato preventivo biennale sono stati riaperti fino al 12 dicembre. Il Consiglio dei ministri ha approvato il Decreto legge che autorizza il provvedimento. Il precedente concordato è scaduto il 31 ottobre scorso, le prime stime parlano di 500mila partite Iva che hanno aderito con un gettito pari a circa 1,3 miliardi di euro. Il concordato bis dovrebbe confluire in un emendamento al Decreto fiscale, al momento in discussione in Senato, provvedimento che viaggia in parallelo con la legge di bilancio. Con le risorse raccolte il governo punta ad abbassare, presumibilmente dal 35 al 33%, l'aliquota del secondo scaglione Irpef. La manovra al momento ha reso strutturale la riduzione a tre aliquote, con il gettito del concordato se ne potrebbero modificare i confini recuperando del sommerso.
Cos'è il concordato preventivo
Il concordato preventivo biennale è l’opzione che consente a lavoratori autonomi e partite Iva di congelare tasse e controlli per i prossimi due anni, aderendo al patto con il fisco e pagando una somma pattuita. La scadenza per aderire era lo scorso 31 ottobre, ma ora potrebbe essere prorogato al 12 dicembre 2024.
A cosa serve?
Con questo nuovo strumento fiscale, il governo punta a recuperare un po' di risorse da spendere in Manovra, in particolare per alleggerire la pressione fiscale al ceto medio. Dall'esito del concordato dipenderà, infatti, anche l'entità di alcune possibili modifiche alla legge di Bilancio, a partire dall'ipotesi di abbassamento dal 35 al 33% dell'aliquota del secondo scaglione Irpef. Il viceministro dell'Economia Maurizio Leo aveva confermato che il gettito sarà messo «al servizio della maggioranza e del governo, per misure a favore delle fasce più deboli, del ceto medio o per altri interventi».
La stima degli introiti
Per conoscere il gettito della prima fase del concordato bisognerà aspettare i conteggi dell'Agenzia delle Entrate, che dovrebbero essere resi noti in questi giorni. Sulla prima tranche, calcoli dei commercialisti partono da una stima del 10% di adesioni da parte dei contribuenti potenzialmente coinvolti (la platea degli aventi diritto è di 4,7 milioni). Tra i più ottimisti c'è chi arriva a sfiorare la percentuale del 20%. Al momento, però, non ci sono certezze su numeri e soldi. Probabilmente sarà difficile raggiungere l'incasso inizialmente ventilato di due miliardi di euro.
A chi piace e a chi no
Il concordato bis, comunque, divide la politica. Per la maggioranza, infatti, andrebbe avanti la campagna “Fisco amico” voluta da Palazzo Chigi per far emergere l'evasione con l'alternativa soft degli adeguamenti spontanei. Contrarissime, invece, le opposizioni. Si passerebbe da «un condonaccio all'italiana» a «una cosa penosa, la resa totale del fisco», aveva denunciato Antonio Misiani, responsabile economico del Pd. E Mario Turco, senatore del M5s, aveva aggiunto: «È un condono preventivo. Aderisce chi ha la certezza di avere redditi maggiori nel prossimo biennio, così da bypassare tasse e controlli. Il risultato è un minor gettito e un probabile danno erariale».
Il "sì" dei commercialisti
L'opzione del “concordato bis” ha però raccolto il consenso dei commercialisti. «È un'opportunità», aveva sintetizzato il Consiglio nazionale dei commercialisti. Per il presidente dell'associazione che rappresenta oltre 120mila professionisti del settore, Elbano de Nuccio, «sicuramente rappresenterebbe un'opportunità per chi non ha avuto il tempo materiale per fare le dovute riflessioni» e quindi per regolarizzarsi versando la somma concordata. La Fondazione nazionale dei commercialisti, poi, ha effettuato una simulazione sugli effetti di un “taglio” delle tasse con i proventi del nuovo strumento scaduto il 31 ottobre scorso. Per dare una sforbiciata di due punti percentuali all'Irpef dei contribuenti, con un calo dal 35% al 33%, «servirebbero circa 2,5 miliardi», mentre «con gli incassi derivanti dal concordato preventivo biennale, attualmente stimati in 1,3 miliardi, sarebbe possibile ridurre l'aliquota di un solo punto percentuale, dal 35% al 34%», con «un'operazione che costerebbe circa 1,2 miliardi». Per i professionisti, se si arrivasse al taglio di due punti percentuali dell'Irpef, ciò riguarderebbe una platea dei beneficiari «ampia, pari a circa 11 milioni di contribuenti».