Una fase delle violenze ripresa dalle telecamere nascoste - Ansa
Terremoto nel carcere Pietro Cerulli di Trapani. Venticinque agenti penitenziari - accusati a vario titolo e in concorso di tortura, abuso d’autorità contro detenuti e falso ideologico - sono stati raggiunti da misure cautelari e interdittive: 11 sono finiti agli arresti domiciliari e 14 sono stati sospesi dal servizio. L’operazione, scattata martedì sera, ha portato anche a una serie di perquisizioni: in totale gli indagati sono 46. Le indagini, partite nel 2021, sono state portate avanti dal nucleo investigativo regionale della polizia penitenziaria di Palermo, con l’ausilio di alcuni reparti territoriali coordinati dal nucleo investigativo centrale. Durante la conferenza stampa organizzata dalla Procura di Trapani, che ha coordinato l’inchiesta, sono emersi episodi che, se confermati, sarebbero molto gravi.
«Nel reparto blu, oggi chiuso per carenze igienico sanitarie, venivano portati i detenuti in isolamento, con problemi psichiatrici o psicologici, e che subivano violenze e torture – ha spiegato il procuratore capo Gabriele Paci -. Alcuni agenti agivano con violenza non episodica ma con una sorta di metodo per garantire l’ordine». Un modus operandi in cui il gip Giancarlo Caruso, in alcuni casi, ha ravvisato gli estremi del reato di tortura. Particolarmente odioso il “trattamento” messo in atto in alcune occasioni. «A volte i detenuti venivano fatti spogliare - ha continuato Paci -, investiti da lanci d’acqua mista a urina e praticata violenza quasi di gruppo, gratuita e inconcepibile».
Sono circa venti i casi di abusi scoperti dagli investigatori. Per descrivere meglio quello che accadeva al Cerulli, in quel reparto dove «non vi erano telecamere», il procuratore ricorre alla letteratura: «In questa sorta di girone dantesco sembra di leggere parti dei Miserabili di Victor Hugo». L’indagine si sviluppa dal 2021 dal 2023 sulla base delle dichiarazioni dei detenuti, approfondite e verificate. Il nucleo investigativo di Palermo ha seguito le indagini e installato le telecamere nascoste dalle quali emergerebbero le presunte torture. Nel delineare lo scenario, Il procuratore ha parlato anche dello stato di degrado dell’istituto e dello stress generale accusato dal personale di polizia penitenziaria, precisando però che «questo non legittima assolutamente le violenze».
Le reazioni non si sono fatte attendere. «Ci auguriamo che si faccia piena chiarezza su quanto accaduto, riconoscendo in sede di indagini e processuale le eventuali responsabilità» ha commentato Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, sottolineando che «quanto emerso in queste ore segnala ancora una volta quanto il reato di tortura sia fondamentale, per diverse ragioni. Da una parte per perseguire i responsabili di questo crimine. Dall’altra, nel far sentire il supporto dello Stato alle persone che subiscono violenze in carcere che oggi, molto più di prima, tendono a denunciare questi episodi. Per ultimo, anche per rompere il muro di omertà che troppo spesso in casi simili si creava in passato». Il senatore del Pd Walter Verini, intervenendo al Senato, invita il ministro della Giustizia Carlo Nordio a riferire in Aula. «Anche se non c'è un diretto collegamento temporale, le notizie dal carcere di Trapani giungono all'indomani delle vergognose e disumane dichiarazioni del sottosegretario Delmastro, che conferma di ignorare principi costituzionali e di umanità nel trattamento dei detenuti. Per questo Nordio, che non si è dissociato da quel delirio del suo sottosegretario, potrà avere l’occasione di farlo in Senato».
Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria, chiede cautela. «Apprendiamo con sgomento di un’indagine nei confronti di numerosi appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria in servizio presso la Casa circondariale di Trapani. Nutriamo incondizionata fiducia negli inquirenti e nella magistratura e auspichiamo che si faccia al più presto piena luce sull’accaduto. Valga per tutti, però, la presunzione d’innocenza, nella speranza che gli indagati possano dimostrare la correttezza del loro operato».