martedì 2 giugno 2015
Un segnale di potente disagio di  Marco Tarquinio 
ANALISI & COMMENTI Regioni rimaste senz’anima di Marco Olivetti | Come ri-coinvolgere gli «scartati» di Leonardo Becchetti | Piketty: «Ue attenta, vedo troppe ipocrisie»
COMMENTA E CONDIVIDI
​Si dice spesso che le elezioni italiane sono sempre speciali, perché all’indomani del voto si possono contare soltanto vincitori. Tutti, per un motivo o per l’altro, provano a dichiararsi tali. Anche stavolta lo spettacolo si ripete (e qualcuno, infatti, ha immediatamente cominciato a commentare e titolare ironicamente su questo). Ma stavolta l’esercizio è davvero arduo e, in più di un caso, persino spericolato. La verità è che nella tornata amministrativa del 31 maggio 2015 sono tanti quelli che hanno perso, alcuni anche vincendo. Anzi i vincitori-sconfitti rappresentano, forse, il fenomeno politico più significativo di questo voto. Non rendersene conto può solo propiziare altre sconfitte (e a noi interessano soprattutto quelle che possono far male al Paese, chiunque le incassi), e produrre nuove difficoltà per un’Italia che ne ha già abbastanza.L’Italia ne ha abbastanza di problemi ancora irrisolti e che anno dopo anno sembrano diventare irrisolvibili (a livello nazionale e a livello locale: in Campania come in Liguria, in Umbria come in Puglia…). E ne ha abbastanza di candidati alla risoluzione dei problemi – leggi “politici” – che non riescono a coinvolgere i cittadini e a meritare la loro fiducia. Quasi un italiano su due tutto questo lo ha detto, anzi ribadito e gridato, non recandosi al seggio. E allora bisognerebbe proprio cominciare da qui nel commento, e non per qualche doglianza di maniera, ma perché se è vero che in democrazia conta chi partecipa, una democrazia sempre meno partecipata e inclusiva è una democrazia malata. È una democrazia indebolita, a causa di una politica che delude e demotiva e non accende più passione e speranza. È una democrazia funzionante (non ci ripetono sempre che i pochi votanti sono regola nei Paesi di antico costume democratico?) eppure offuscata, perché sempre più offuscata è la stima del popolo per le sue stesse istituzioni. Basti pensare – e constatare, dati alla mano – che la costante critica ai «privilegi» del Parlamento e dei parlamentari (critica ormai irragionevole visto che tanto è cambiato in questi anni, all’insegna della maggiore sobrietà) impallidisce di fronte a un dilagante sentimento di “rifiuto” verso le Regioni – screditate, come ognuno di noi ricorda bene, da scandali a ripetizione – che risulta accresciuto dalla potente onda di riflusso dall’euforia federalista. I due nodi – partecipazione-inclusione e considerazione delle istituzioni regionali – sono così importante che a questo, oggi, dedichiamo nelle nostre pagine delle Idee analisi acute e specifiche. E poiché, tra serie tensioni, si sta lavorando per riformare il nostro sistema di rappresentanza parlamentare dei cittadini e dei territori sarebbe assai utile se questo aggrovigliarsi di questioni non venisse considerato con sufficienza da chi, oggi, sta al Governo e siede in Parlamento.Ma torniamo ai vincitori-sconfitti. Categoria che – pur considerando i logici fattori localistici che caratterizzano un voto di questo tipo – ci sono e sono ben riconoscibili. Come non mettere al primo posto il premier-segretario del Pd Matteo Renzi? Ha vinto, perché il suo partito, dopo il 5 a 2 di domenica, è al governo in 17 Regioni su 20 e perché a livello nazionale si conferma in quel primo posto riconquistato oltre ogni previsione alle elezioni europee del 2014. Ma il partito di maggioranza relativa stavolta appare dissanguato: un po’ da qualche lista fiancheggiatrice dei candidati presidenti, non poco dalle faide interne (il caso Liguria fotografa il punto di maggiore intensità dello scontro tra Renzi e parte della “sinistra” interna ed è la dimostrazione che i suoi avversari non possono scalzare il leader, ma possono ridimensionarlo) e moltissimo dall’astensionismo. Lo “sfondamento al centro” a partire da sinistra realizzato da Renzi di un anno fa appare lontano. Hanno lasciato il segno intenzioni dichiarate o scelte vere proprie: dalla gestione della pur interessante legge sulla «buona scuola» al segnale inviato con la riforma di forza delle Banche popolari sino alle “tentazioni” decisioniste o, al contrario, indecisioniste su temi divisivi e caldi (cito alla rinfusa: crisi libica, politica fiscale pro-famiglia, pressione fiscale sulla casa, unioni gay…).Motivi seri, che anche su queste pagine hanno portato a sottolineare la crisi della “luna di miele” tra il presidente del Consiglio e settori sensibili (compresi quelli etichettati come “cattolici”) dell’opinione pubblica. Cittadini-elettori che hanno deciso di non “investire” su altri, ma si sono messi, dubbiosi e amareggiati, alla finestra. Un altro vincitore-sconfitto è Beppe Grillo. Conferma un secondo posto percentuale che varrebbe il ballottaggio per il governo nel gioco politico disegnato dalla nuova legge elettorale, l’Italicum, ma perde voti reali a rotta di collo, tanto quanto Pd e Forza Italia (attorno ai due milioni a testa, secondo la minuziosa analisi dell’Istituto Cattaneo). La crescente crisi di fiducia nella politica riguarda oggi il M5S proprio come gli altri, anche se il partito-movimento, poco a poco, comincia a far emergere accanto e oltre il padre fondatore un ceto dirigente e a consolidare una fisionomia che è sempre meno facile liquidare come anti-politica. Il terzo vincitore-sconfitto è il personaggio del giorno: Matteo Salvini. La “sua” Lega raddoppia i consensi rispetto alle politiche nelle Regioni in cui si è votato e diventa il partito più forte del centrodestra sull’onda di una campagna calibrata su parole d’ordine “ruspanti” e spigolose, ma in termini di voti assoluti (+402mila) non riesce a recuperare più di un quarto dei consensi perduti da Forza Italia. Grande eccezione il Veneto, dove però il successo se lo intesta il governatore uscente e riconfermato Luca Zaia che, con la sua lista personale, stacca tutti, Lega salviniana compresa. Infine, due parole sugli sconfitti-sconfitti che sono i cosiddetti “moderati” (non tutti lo sono davvero, certo non lo sono stati gli uni con gli altri) del centrodestra. Hanno confezionato e cucinato uno spezzatino indigeribile per buona parte dell’elettorato già berlusconiano. Risultato inevitabile quando non si sa chiudere una stagione e aprirne una davvero nuova, per stile, volti ed efficacia della proposta. Una considerazione tanto ovvia da sembrare inutile, e che invece vale urgentemente per tutti, in tutti i campi politici dell’Italia del 2015.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: