giovedì 19 marzo 2020
Una notte coi volontari di Sant’Egidio che non hanno abbandonato i poveri privi di un tetto. Ogni sera li visitano vicino a piazza San Pietro portando cibo e sorrisi. Anche ai tempi della mascherina
Chi non dimentica gli "invisibili" / VIDEOREPORTAGE

Si avvicinano, non riescono ad aspettare il loro turno. Escono da cartoni, da qualche tenda o spogliandosi dei teli di plastica nei quali sono avvolti per renderla più difficile a freddo e umidità. Non hanno una casa. Hanno fame. Hanno paura e devi capirlo. Sporchi. Induriti. Malandati. Con le speranze accartocciate e buttate via da un pezzo. Tanti. Un centinaio, anzi negli ultimi due o tre giorni sono 30 o 40 in più solamente dentro e intorno piazza San Pietro. Quasi mai giovani, italiani e stranieri, nessuna differenza. Anche qualche donna dell’Est, oltre i sessanta, che ha perso il lavoro da badante. Tutti soli: prima, durante, dopo questo virus. E se molti hanno problemi di salute, non si sa dove possano andare.

Nira ha vent’anni e Irene 19, stasera è la loro prima volta. «Per me è importante essere qui, sento la necessità di fare qualcosa per la società, così da fare anche del bene a me e soprattutto agli altri, che cerchiamo di aiutare in questo momento di bisogno», dice Irene prima di cominciare il giro. E Nira: «Sono qui per rendermi utile adesso, per dire agli altri che ci siamo, sempre». La loro prima volta con i volontari della Comunità di Sant’Egidio che portano cibo ai clochard.

Chi non ha dimora è un’emergenza nell’emergenza, non ha un’abitazione dove restare, né altri posti, a parte i marciapiedi. Le strutture di accoglienza, quelle che non hanno chiuso, sono strapiene e nei pronto soccorso (dove spesso andavano a rifugiarsi per trovare almeno un po’ più caldo) ovviamente non c’è più verso di entrare. «Veniamo qui la sera coi volontari che possono, per mostrare vicinanza alle persone che stanno per strada», spiega Carlo Santoro di Sant’Egidio. La basilica è illuminata, anche una stanza lontana del Palazzo apostolico.


Per le persone senza domicilio è un’emergenza nell’emergenza: le strutture di accoglienza, se non hanno chiuso, sono strapiene e al pronto soccorso (dove c’è un po’ di caldo) non si entra più Un frame del video postato su avvenire.it che descrive la notte passata a Roma con i senza dimora

In strada, le luci sono quelle bianche dei lampioni, quelle blu dei lampeggianti sulle macchine di Polizia e Carabinieri. Niente turisti, niente romani, niente e nessuno. Prima di cominciare il giro, Lucia Lucchini, anche lei della Comunità di Sant’Egidio, spiega ai volontari (stasera una quindicina) che «oltre a dare il cibo, dobbiamo dire alle persone due cose. Attenersi alla regola di stare distanti almeno un metro uno dall’altro. E che continuiamo a venire, che faremo di tutto per non lasciarli soli». Non ha finito Lucia, c’è dell’altro. Una raccomandazione: «Troviamo il modo di sorridere anche con le mascherine, si vede dagli occhi se sorridiamo…». Non sono eroi, né si sentono tali. Prendono ogni precauzione, indossano mascherine e guanti. Lo stesso giro, che fanno da anni, di questi tempi non si svolge come al solito: «Le nostre distribuzioni erano molto più lunghe, portavamo molte più cose da mangiare – spiega di nuovo Carlo –. Adesso andiamo dalla singola persona, lasciamo la monoporzione di cibo, salutiamo e andiamo». Tutto qui? Sembra. «In realtà ci serve per capire come sta». I militari sono nelle loro postazioni fisse e sono, qui, l’altro segno di vita.

Sotto le colonne del Bernini qualche tenda, piccola, appena più al riparo. Una è anche sotto le insegne d’un negozio, che tanto domattina non aprirà. Si avvicina una donna ai volontari di Sant’Egidio, resta distante dopo avere passato una busta a Lucia, che la ascolta e le dice: «Grazie signora, va benissimo, grazie». La donna lavora in una farmacia, li ha fermati per donare pane e pasta senza glutine con i quali ha riempito la busta «per chi, fra i senza dimora, fosse celiaco». Appuntamento alle 7 di sera, via della Conciliazione. Erano arrivati con le loro macchine, portabagagli pieni di cibo e bevande, soprattutto succhi di frutta e, oltre ai panini, anche un po’ di merendine.

Divisione del cibo e delle persone alle quali portarlo, quelle parole di Lucia già raccontate, e ci si era mossi. Carlo Santoro lavora, è sposato, ha due figli e viene qui dal 1984 a distribuire il cibo ai senza dimora: «Con molti di loro si è creata un’amicizia duratura – spiega –, che mi ha portato a considerare le persone in strada come familiari, uno per uno, con nomi e storie precise». Nessuno toglie la mascherina, neppure i guanti.


Sono un centinaio, negli ultimi due o tre giorni sono aumentati di 30 o 40; quasi mai giovani, italiani e stranieri senza differenza Dormono sotto i cartoni e sono tutti soli: se il virus li coglie, non si sa dove possano andare

Nessuno di loro si spinge troppo vicino, nemmeno quando non resta neppure una merendina e fa male dover rispondere «purtroppo abbiamo finito tutto». Una donna è seduta proprio a due passi dall’ingresso in piazza San Pietro (chiusa). Accanto alla saracinesca di un negozio, poche cose a terra, accanto; capelli raccolti, molto dimessa e fiera. Una settantina d’anni. Lei non si era avvicinata, aveva aspettato che lo facesse una volontaria, porgendole il cibo, quasi volendola accarezzare, senza poterlo fare. Lei aveva preso la busta e ringraziato, gli occhi illuminati, nel buio, per un istante. Mentre un’altra notte, lunga, cupa, sola, iniziava.

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