Matteo Truffelli, presidente nazionale di Azione Cattolica (Siciliani)
«No, i laici cattolici impegnati in politica non sono estinti. Ci sono, e sono tantissimi. Però…». Martedì scorso il cardinale Bassetti ha dedicato un ampio capitolo del suo discorso all’Assemblea generale della Cei al «clima di smarrimento culturale e morale», al «sentimento di rancore diffuso » e ai loro «effetti pesanti anche in politica ». Eppure la conclusione del presidente della Cei non era negativa: «Non credete – diceva ai vescovi – che ci siano ragioni fondate per dire che la partita non è persa?». Da quel «però» parte la riflessione di Matteo Truffelli, presidente nazionale dell’Azione cattolica, che comincia là dove Bassetti finisce.
Nonostante le apparenze, sembra dire Bassetti, c’è un terreno fertile. I cattolici impegnati in politica non sono dunque estinti?
No, sono tantissimi. In schieramenti diversi e impegnati soprattutto nelle amministrazioni locali, un livello non meno decisivo per le sorti della comunità civile.
Non le sembra però che la rappresentanza a livello nazionale sia carente?
Sì, è meno forte ed evidente che nel passato. Però la passione per il bene comune rimane diffusa. Ma forse si traduce in forme diverse di impegno e nella scelta di priorità differenti, soprattutto tra i giova- ni. Penso ad esempio alla loro attenzione per la tutela dell’ambiente, del creato.
Le radici sono sane, ribadisce il presidente della Cei, e il Paese è migliore di quanto spesso venga dipinto. Un eccesso di ottimismo?
No, ha ragione. Non solo il cattolicesimo italiano ma l’intero Paese sono ancora irrigati da energie morali e da impegno generoso. L’apertura solidale e inclusiva rappresenta un aspetto importante della nostra identità nazionale. Una caratteristica che dovrebbe essere coltivata e sostenuta dalla politica, non soffocata.
L’impegno politico dei cattolici ha una grande tradizione. Che cosa ne stiamo facendo?
Per esserne degni eredi, come invita Bassetti, non possiamo limitarci a conservarla sotto vetro, o a rimpiangere il passato. Il passato va guardato, studiato e apprezzato, sì, ma per tradurlo in nuove modalità di impegno, nuove formule. E il momento è proprio questo, come cerco di spiegare nel mio libro, La P maiuscola. Nostro, qui e ora, è il compito di elaborare proposte buone per il Paese e di raccogliere consenso attorno ad esse, sapendole argomentare in modo comprensibile per tutti, non attraverso affermazioni valide solo per noi.
Non le sembra che dalla comunità ecclesiale non emerga tutta questa 'domanda di politica'?
Per molto tempo tra i cattolici la questione politica è stata motivo di divisione, forse più di ogni altra. Non siamo stati capaci di far nostra l’idea che i princìpi possano essere declinati in scelte politiche diverse. Abbiamo fatto tanta fatica, e continuiamo a farla, ad accettare la pluralità.
Eppure lo stesso Concilio la ammetteva: talvolta, di fronte allo stesso problema, è possibile che i cattolici optino per soluzioni diverse…
È un insegnamento che non abbiamo saputo far nostro in modo autentico e consapevole. Molti sono ancora lì, in attesa di un’unità svanita.
Rimangono molti laici cattolici che avvertono la vocazione all’impegno politico ma non trovano occasioni formative. Non sono aiutati. Che cosa si può fare?
Due cose. Abbiamo il dovere di formare credenti consapevoli che non possono essere autenticamente tali senza vivere da cittadini responsabili. Non solo quelli che intendono impegnarsi in modo forte, ma proprio tutti. Ciò di cui più abbiamo bisogno è di cittadini appassionati. Poi, non possiamo dire: «Abbiamo bisogno di voi» e guardare con sospetto chi si impegna, voltandogli le spalle. Dobbiamo creare attorno a essi una rete di persone e comunità che li stimi e gli voglia bene. Dobbiamo accompagnarli, offrire loro occasioni di dialogo e confronto, di formazione e di continua riscoperta delle motivazioni del loro impegno.