IMAGOECONOMICA
«Se ci sono dei problemi legati a eccessi verbali di singoli, su quelli si deve all'occorrenza intervenire. Ma una norma che dovesse consentire in qualche modo di chiudere sostanzialmente la bocca dei magistrati per quello che riguarda il dibattito sulle riforme e sulle questioni legate alla giustizia, se interpretata così non credo che reggerebbe il vaglio di costituzionalità... ». A sera, il segretario generale dell’Associazione nazionale magistrati Salvatore Casciaro riflette sul controverso articolo 4 del nuovo decreto giustizia. Il testo, annunciato per il Consiglio dei ministri di ieri, è slittato per divergenze in seno alla maggioranza. E dunque potrebbe essere suscettibile di modifiche. Casciaro, e con lui l’Anm, resta dunque in attesa. Ma in questo colloquio con Avvenire non nasconde le proprie perplessità.
Segretario, quando il Guardasigilli Nordio dice che le bocche dei giudici non devono essere «mute» e che non avvierà azioni disciplinari, vi sentite tranquillizzati?
Non dubito delle buone intenzioni del Guardasigilli. Ma mi sovviene una vicenda recente, il caso Artem Uss che riguardò i giudici di Milano, in cui il ministro Nordio aveva detto pubblicamente che si sarebbe rimesso serenamente alle valutazioni della Procura Generale, che furono per l'archiviazione. Ciò nonostante, lui stesso poi sollecitò dinanzi al Csm, nonostante la valutazione negativa della Procura Generale, un'iniziativa disciplinare, conclusasi comunque favorevolmente per i colleghi di Milano. Insomma, mi pare che rassicurazioni di questo tipo, in altre situazioni, non abbiano poi portato nei fatti a un mantenimento delle promesse.
Prescindendo dunque dalle rassicurazioni ministeriali, come valuta la nuova norma, nella formulazione trapelata finora?
Da ciò che abbiamo letto sui giornali, ha una formulazione ancora lasca. Ma potrebbe mirare a ridurre la possibilità dei magistrati di intervenire nel dibattito pubblico sulla giustizia. Se così fosse, non potrebbe ottenere risultati, perché si tratta di un diritto del magistrato che ha un ancoraggio costituzionale e nella Convenzione europea dei diritti dell'uomo. L'attuale formulazione generica comprime un diritto costituzionale. Noi magistrati siamo cittadini e abbiamo i diritti di tutti gli altri cittadini. Scritta com’è - ossia per impedire di intervenire in materie di cui poi un magistrato si deve occupare per ragioni professionali - per noi non sarebbe neanche più ammissibile partecipare come tecnici in sede di audizione parlamentare o n un convegno oppure in un dibattito pubblico.
Nel frattempo, la riforma più “sbandierata” dall’esecutivo resta la separazione delle carriere di pm e giudice. Rimanete dell’idea che sia perniciosa?
Ha solo una parte dedicata alle separazioni delle carriere. Ma in realtà l'obiettivo è un ridimensionamento del ruolo della giurisdizione come disegnato nella Costituzione: non si limita a separare le carriere, ma impoverisce il Csm di fondamentali prerogative, come le questioni disciplinari, demandandole ad altro organo. Eppure, negli Stati Ue gli organi di governo autonomo dei giudici amministrano la disciplina al loro interno.
Temete ancora che la riforma miri ad assoggettare il potere giudiziario a quello esecutivo, o comunque alla politica?
La riforma traghetterà il Paese in uno stadio intermedio. Di fatto oggi le carriere sono già divise: c'è una separazione netta di funzioni e il travaso dall'una all'altra è limitato. Se si crea un'autonoma carriera requirente, con un suo organo di governo autonomo, autoreferenziale, si attribuisce alla pubblica accusa un potere enorme, che in qualche modo bisognerà poi intervenire per limitare. Temo che si apriranno problemi che poi non potranno che concludersi con un controllo esterno sul pm, da parte dell’esecutivo.
E le altre riforme? L’abrogazione del reato di abuso di ufficio, l’annunciata stretta sulle intercettazioni, le molte nuove fattispecie penali vi vedono critici...
C’è un filo che lega una serie di interventi. Si riducono gli spazi di controllo sui pubblici poteri, con l'abolizione dell'abuso d'ufficio e il ridimensionamento del traffico di influenze. E ancora, si intende ridurre lo spazio delle intercettazioni. E poi ci sono le limitazioni degli spazi dell’informazione, con la cosiddetta “legge Bavaglio” sul divieto di pubblicazione dell’ordinanza di custodia cautelare. Per non parlare della riduzione dei controlli della Corte dei Conti, col progetto di legge Foti: una riforma in cantiere, di cui la magistratura contabile è già preoccupata.
Sull’immigrazione, lo scontro col governo è quasi quotidiano. La Lega vi chiama “toghe rosse” e vi accusa di fare politica con le pronunce. Come ribatte?
Vorrei essere chiaro: nella recente questione legata ai provvedimenti sui migranti trasferiti in Albania, i magistrati non hanno assolutamente esondato rispetto alle loro attribuzioni. Hanno applicato la legge statale e la disciplina sovranazionale a cui bisogna uniformarsi. E laddove hanno nutrito un dubbio sull'esistenza di un contrasto, hanno adottato lo strumento previsto dai Trattati, cioè l'invio pregiudiziale alla Corte di giustizia europea. Ciò non è fare po-litica, è applicare le leggi. E non è certo colpa dei giudici se le politiche migratorie hanno una battuta d’arresto, nella misura in cui sono in contrasto con la disciplina comunitaria a cui debbono inevitabilmente conformarsi.
E la modifica per assegnare una parte della materia alle Corti d’Appello, contenuta nel contestato decreto flussi? Lei oggi è consigliere in Cassazione, ma è stato giudice nelle sezioni Immigrazione. Cosa ne pensa?
Intanto, va detto che le sezioni specializzate in immigrazione si occupano da anni di questa materia e sono state istituite proprio per accelerare i tempi di definizione delle procedure. Escludere l'applicazione dei trattenimenti e rimettere la materia alla Corti d'appello, come alcuni presidenti hanno già avvertito, si tradurrà in un aggravio per le suddette, che già sono a rischio nel perseguimento degli obiettivi del Pnrr. Per me è una soluzione irrazionale che tradisce una sfiducia, nella misura in cui si ritiene che un indirizzo giurisprudenziale sia contrastante con quelli che sono le linee sulla politica migratoria adottate dal governo. E si pensa di poter correre ai ripari cambiando il giudice.
Rebus sic stantibus, il dialogo fra Anm e governo si avvia su un binario morto per il resto della legislatura?
Indubbiamente, le tensioni quotidiane ci preoccupano. Ma il dialogo fra istituzioni dev’esserci sempre. Auspico che col governo ci siano occasioni di confronto. Perché ciò avvenga, però, è necessario che si recuperino anzitutto toni di rispetto istituzionale e che cessino certi attacchi alla giurisdizione, che mi paiono tanto ingenerosi quanto gratuiiti.