Dal 3 dicembre per l’Italia la maternità surrogata diventa sempre e comunque reato. Dunque, anche se compiuta da un italiano all’estero. È quanto consegue dall’entrata in vigore della modifica alla legge 40 del 2004, pubblicata il 18 novembre in Gazzetta Ufficiale, e che entra formalmente in vigore con l’inizio del mese.
Con questo atto si chiude dunque un varco aperto da poco meno di 15 anni, quando le prime coppie italiane – proprio con l’artificio dell’espatrio – avevano iniziato ad aggirare il divieto di maternità surrogata. Nella sostanza, concludevano il contratto di affitto dell’utero perlopiù a distanza, via Internet, e poi si recavano all’estero. Ma solo per il tempo strettamente necessario alla consegna del bimbo da parte di una clinica specializzata e al disbrigo delle formalità previste dallo Stato in cui la compravendita era avvenuta. Tutto ciò in barba a quanto prescrive la legge 40 sulla Procreazione medicalmente assistita: «Chiunque, in qualsiasi forma, realizza, organizza o pubblicizza la commercializzazione di gameti o di embrioni o la surrogazione di maternità – questo il testo dell’articolo 12, comma 6 – è punito con la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da 600.000 a un milione di euro».
Non che tutto andasse così liscio, anche in passato. Su Avvenire per oltre 10 anni abbiamo puntualmente documentato tutti i principali cortocircuiti giudiziari provocati da queste pratiche: genitori d’intenzione cui è stato tolto e posto in adozione il bimbo da loro “ordinato” e nato da utero in affitto, condanne di altri per alterazione di stato civile di minore, assoluzioni di altri ancora per casi identici (ma decisi da giudici diversi). Ufficiali di stato civile che trascrivevano – nella sostanza riconoscendolo anche in Italia – il certificato di nascita ottenuto all’estero da “committenti” italiani di bimbi, coppie omo o etero che fossero. Pubblici ufficiali che negavano l’evidenza esponendo il sindaco a procedimenti legali su più gradi di giudizio. E ancora: interpretazioni giurisprudenziali bizantineggianti, che attraverso l’allargamento della legge sulle adozioni in casi particolari hanno cercato di dare comunque uno status giuridico genitoriale a chi genitore non è (secondo natura e secondo il diritto italiano). Pronunce della Cassazione tra loro discordanti. Pronunce della Corte Costituzionale invece unanimi nello stigmatizzare la surrogazione di maternità ma di fatto accondiscendenti nei confronti di chi vi aveva fatto ricorso. Insomma, un guazzabuglio umano e giuridico che ora sembra essere (quasi) alle spalle.
Ma come? Attraverso una semplicissima aggiunta al citato articolo 12 della legge 40, che già dal 2004 identifica la surrogazione di maternità come un reato: «Se i fatti di cui al periodo precedente, con riferimento alla maternità surrogata, sono commessi all’estero – ecco l’integrazione approvata dal Parlamento – il cittadino italiano è punito secondo la legge italiana». Una semplice frase che segna una svolta storica – l’Italia è il primo Paese al mondo a decretare il bando di una pratica che giudica non solo illecita ma inaccettabile – e che tappa un buco rimuovendo alla radice ogni diversa possibilità d’interpretazione.
In effetti, sinora, perché la surrogazione di maternità fosse punita anche se commessa all’estero sarebbe stata necessaria – a norma delle disposizioni generali del nostro Codice penale – la richiesta del Ministro della Giustizia o la querela di parte offesa (nel nostro caso il minore, per cui il pubblico ministero avrebbe dovuto nominare un curatore speciale). Ipotesi evidentemente piuttosto complesse e difficilmente attuabili in concreto. Ora però che la norma del 2004 può operare senza eccezioni: chi aveva interesse ad alimentare a vario titolo il business dell’utero in affitto – aspiranti genitori d’intenzione, associazioni ideologicamente determinate a ottenere una liberalizzazione progressiva e completa – minaccia (altre) azioni legali, ventilando l’ipotesi di ricorsi in massa di coppie che si riterrebbero private di un loro asserito “diritto al figlio”.
Prima iniziativa ostile alla nuova normativa sarebbe quella tesa a ottenere dalla Consulta una pronuncia di illegittimità costituzionale della recente modifica alla legge 40. Tra le argomentazioni che probabilmente verranno azionate con questo obiettivo vi sarà la lesione dell’autodeterminazione personale dei genitori d’intenzione. Così, ancora una volta, risuoneranno le parole affidate dalla Corte Costituzionale alla sentenza 272/2017, secondo cui la maternità surrogata «offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane». Parole che invitano a non assolutizzare i desideri di chi vuole ottenere un figlio a ogni costo, e a mettersi dalla parte dei più deboli. Delle donne sfruttate. E dei bimbi che verranno separati alla nascita dalla donna che li ha portati in grembo per nove mesi stabilendo con loro un legame unico e indissolubile. E che per il bambino, e il nostro ordinamento, resta sua madre.