«Il 2017 è l’anno decisivo. Se ci sarà una drastica riformulazione del Fiscal compact e una condivisione dei rischi della politica monetaria, allora si potrà registrare un rilancio dell’Unione e della moneta unica. Altrimenti, all’Italia converrà prendere seriamente in considerazione l’uscita dall’euro». È netto Marcello Minenna, economista della London School of Economics: «Tirare fuori i feticci delle 2, 3 o 4 velocità è fuorviante. La classe dirigente europea che non ha saputo risolvere in 17 anni le elementari imperfezioni nell’architettura dell’euro difficilmente potrà gestire in modo migliore questioni complesse come l’uscita di un Paese membro o la scrittura di sistemi a più livelli. Meglio ammettere gli errori compiuti e ripartire con regole diverse».
Lei ha una ricetta da diversi anni...
Si tratta di correggere quegli errori che anche gli studenti di economia imparano a riconoscere appena mettono piede in facoltà. Primo, gli investimenti che creano valore devono essere scorporati dal calcolo del deficit. Nel 2017 bisogna ratificare il Fiscal compact nei Trattati europei, è un’opportunità unica per inserire questa norma di semplice buon senso. Secondo, non può esistere una moneta senza un bilancio comune e una condivisione dei rischi. Si può ripartire da una revisione del Quantitative easing trasferendo presso la Bce i titoli di Stato acquistati dalle banche centrali, annullando i prestiti loro erogati da Francoforte per finanziare gli acquisti. Altrimenti i rischi non sono condivisi, ma segregati nei vari Stati membri.
Diversamente, lei dice, meglio uscire...
Nello studio quantitativo che ho svolto con Antonio Guglielmi mostriamo come il 2017 sia l’ultimo anno in cui possiamo confrontarci con l’Europa forti di uno scenario di Italexit con ritorno alla lira ancora conveniente sul fronte del debito pubblico. Già dal 2018 i margini si restringono. Dovremmo usare questo argomento nei negoziati. Sinora l’euro è stato un magnete che ha drenato risorse dai Paesi periferici verso la Germania. Ora che il Sud dell’Europa ha poco da offrire perché fiaccato dall’austerity, allora la Merkel tira fuori le "due velocità". Così non va bene, dobbiamo puntare i piedi.
Intanto Draghi cerca di fare il pompiere...
Il governatore della Bce ha mandato due messaggi, uno a Trump su banche e finanza e l’altro a Merkel sulle due velocità. Ha dato un messaggio di solidità, ma è chiaro che bisogna andare anche oltre, con decisioni politiche strutturate.
Non è tardi alla luce della campagna elettorale in Francia e Germania? Lo spread lancia segnali inquietanti.
Francesi e tedeschi non stanno rassicurando i mercati. Le Pen ci dice che è pronta a fare la France exit in 6 mesi. Merkel parla delle due velocità. Sono segnali di sfiducia. Il punto è che i cicli politici incidono sempre più su quelli economici. In Europa si dovrebbe riflettere sul fatto che non è possibile che ci siano importanti voti nazionali ogni 4-5 mesi, voti potenzialmente in grado di cambiare il vento dell’opinione pubblica continentale.
Viene da chiedersi perché Bruxelles dovrebbe fare nei prossimi 10 mesi ciò che non ha fatto in anni e anni...
Perché la polarizzazione degli interessi nazionali degli Stati membri è oramai a un punto di elevatissima tensione. E in più c’è Trump. Perché si profilano accordi Usa-Russia. Perché le tensioni in Medio Oriente possono impattare su energia e petrolio. Restare inerti sarebbe un’autocondanna.
In questo senso lei sconsiglia il voto anticipato in Italia?
Innescare un altro ciclo politico in Italia non può che aumentare l’incertezza sui mercati finanziari.