martedì 25 agosto 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
Non sono mancati gli spunti di cronaca – «sotto la chiesa di Santa Felicita si trovava il cimitero dei primi cristiani fiorentini che venivano dalla Grecia e dalla Siria, come vedete siamo tutti profughi… » – ma il convegno di ieri con cui il cardinale Giuseppe Betori ha presentato la mostra Opus Florentinum, dedicata alla lettura cristiana della piazza del Duomo di Firenze, è stato molto più che una 'chiacchierata' sul rapporto tra arte e fede. Va detto innanzi tutto che quest’ultimo binomio assume un ruolo ermeneutico in vista dello stesso convegno ecclesiale ('In Gesù Cristo il nuovo umanesimo' 9-13 novembre 2015): «Il rapporto strettissimo tra arte e fede è specifico del Cristianesimo – ha detto il cardinale a Rimini – poiché l’arte deve mostrare la fede che entra nella storia umana tramite l’incarnazione». Ecco la chiave di lettura per il convegno di novembre: «La fede entra nell’umano perché è la sola che può dare completezza. La mancanza di cui parla il poeta Luzi nel tema del 36esimo Meeting si riempie solo di Cristo e l’intreccio tra trascendenza, senso della vita, impegno sociale, carità… si riassume proprio nella piazza del Duomo e in una concezione dell’umanesimo che si preoccupa di rendere manifeste le ragioni di Dio non come alternative all’uomo, ma come suo compimento. Questo è il nuovo umanesimo che cerca il convegno della Chiesa italiana». Finito il Meeting, la mostra su Santa Maria del Fiore, il Battistero e il Campanile di Giotto porterà nel mondo un vero e proprio catechismo dell’arte – la cattedrale come grembo di Maria che partorisce il 'Fiore' dantesco, il ruolo spirituale del lavoro raffigurato nei gruppi scultorei…, come ha raccontato la curatrice Mariella Carlotti – che conferma l’unicità e l’unità del messaggio civico e cristiano contenuto nell’arte fiorentina del Rinascimento. Su questo punto l’arcivescovo di Firenze è stato particolarmente schietto. Il rapporto tra la Chiesa e gli artisti, ha ammesso, negli ultimi secoli si è sfilacciato – «voi ci avete un po’ abbandonato, come disse Paolo VI nel 1964 agli artisti, e noi vi abbiamo messo talvolta una cappa di piombo addosso» – ma, riprendendo le parole di Giovanni Paolo II, ha ribadito che «la ricerca del bello è per sua natura una sorta di appello al mistero» e rientra «nella natura dell’arte cercare la trascendenza». Nel caso fiorentino, ha aggiunto, «questo legame ha anche una dimensione sociale, e infatti per capire la nostra arte rinascimentale bisogna riconoscervi la risposta ai bisogni del popolo», come dimostra anche la parata di statue civiche che accoglie i visitatori nella cattedrale. La contiguità con la dimensione civile ha dei pendant giuridici (la Chiesa non è proprietaria di questi monumenti) ma non rappresenta un limite per il cristiano – «sentirsi ospiti aiuta a non vivere la Chiesa come un dominio» –; semmai, impone anche al laico una lettura teologica della testimonianza artistica. Se non si tiene conto, ha spiegato infatti il porporato, della sintesi tra significati religiosi e politici che condusse alla creazione di capolavori assoluti come il Davide di Michelangelo non si comprende che «la radice della libertà politica è la libertà religiosa della città». Purtroppo, ha commentato a sua volta Franco Lucchesi, presidente dell’Opera del Duomo che gestisce questi monumenti e ha promosso la mostra insieme a Palazzo Strozzi, «oggi la maggior parte dei visitatori si limita a una lettura estetica, poiché non riesce a percepire quest’unità tra fede e arte. Molte persone, non solo straniere, non comprendono nulla di quello che vedono e fare loro un discorso sul senso religioso, civile e artistico di un’opera è complesso perché non hanno un retroterra che li avvicini alla religione ». Secondo Lucchesi, «col tempo si rischia una frattura, si scivola nell’arte del selfie, non capendo minimamente cosa rappresenti questa piazza». Per tale ragione, il Museo dell’Opera del Duomo promuoverà, assieme all’Università Cattolica, un progetto di divulgazione e formazione dei visitatori nei Paesi d’origine; «e qualcosa di analogo si dovrà pensare per il visitatore italiano perché il medesimo problema lo avremo con i nostri nipoti» ha concluso Lucchesi. 
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: