mercoledì 20 febbraio 2013
Il​ leader del Pd risponde così a Monti che aveva rilanciato la grande coalizione. Davanti alle telecamere dei talk show si consumano le battute finali di una campagna elettorale che lascia ancora spazi a incertezze. 
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Tv, modesta soluzione per il dibattito elettorale di Francesco Riccardi
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​Non è un confronto a tre, ma Enrico Mentana riesce a disporre in sequenza Pier Luigi Bersani, Silvio Berlusconi e Mario Monti, in tre distinte interviste consecutive, per mettere gli italiani di fronte alle proposte principali degli sfidanti. I leader di Pd, Pdl e Lista Civica arrivano alla trasmissione in diretta dopo una lunga giornata di polemiche sulle diverse emittenti e piazze del Paese. Sui volti i segni della stanchezza di una campagna elettorale che volge al termine, minata dagli outsider Grillo, Giannino e Ingroia, e da una legge elettorale che mette a rischio la governabilità del Paese. Le ultime battute sono una caccia all’indeciso. Oltre a un susseguirsi di epiteti, che spesso scadono nell’insulto, come quelli che il Cavaliere riserva al Professore («Non capisce niente di economia», gli dice, tra l’altro, prima di congedarsi da Mentana. La replica del premier uscente: «Mi offenderei se me lo dicesse un Nobel...»).Il segretario democratico apre il ciclo e lamenta la campagna elettorale condotta più davanti alle telecamere che non tra la folla nelle piazze. Un segnale, dice, di «una politica basata su una sola persona», che non ha alle spalle un partito. «Mi chiedo, dopo Berlusconi chi c’è? Dopo Monti? Dopo Grillo? Dopo Bersani c’è il Pd». Motivo per cui, dice, per lo più il suo tour si è svolto tra la gente. E il segretario democratico è certo di aver fatto breccia, tanto da poter essere autosufficiente in Parlamento per governare senza stampelle.Ma meno ore mancano al voto e più difficile da sciogliere si fa il nodo delle possibili alleanze. Anzi, i veti incrociati sono accompagnati dall’inevitabile inasprimento di toni. Monti, che per districarsi dalle offensive di Berlusconi ricorda anche la netta presa di posizione del Ppe a suo favore e contro il Pdl («Il Cavaliere con i moderati non ha nulla più a che fare, ha usato smoderatezza in tutto...»), continua ad escludere un accordo con il centrosinistra di Bersani, se resta Vendola. Il leader del Pd ripete ancora di aver già fatto la propria scelta e rifiuta l’ipotesi della grande coalizione: «Non mi si venga a dire governissimi. Non è possibile. Non possiamo stare nell’eccezionalismo sempre». Piuttosto i democratici appaiono molto interessati ai grillini che approderanno in Parlamento, verso i quali il segretario annuncia «faremo scouting». Ma mentre il leader del Carroccio Maroni invoca il ritorno alle urne se non si raggiungerà una maggioranza in entrambi i rami del Parlamento, Monti mette l’ennesima croce sull’«attuale coalizione di centrosinistra che sulle riforme strutturali, in particolare per quelle che servono per rilanciare il lavoro, ha una posizione profondamente diversa dalla nostra». Ma qualcosa andrà fatto, visto che «il bipolarismo nel quale avevamo tanto sperato ha fallito», secondo il Professore, «perché è stato conflittuale e le migliori forze ed energie sono state spese per lottare tra loro». Comunque, avverte il premier uscente, con la sua lista occorrerà fare i conti, dato che «noi avremo un’ottima percentuale». Ma soprattutto perché «stiamo giocando col fuoco. Rischiamo di tornare indietro all’ingovernabilità e di dare un voto utile solo per la protesta», avverte l’alleato Pier Ferdinando Casini. Non si schioda, però, neppure Bersani. Con tutti i problemi che l’Italia si trova ad affrontare, dice, «che il problema diventi Vendola, caro Professore, mi fa un po’ ridere». Di più: «Le altre coalizioni dureranno una settimana». E Berlusconi? La sua apparizione televisiva serale ha tre punti fermi: Imu, Equitalia e l’invito a non votare Grillo, ormai divenuto la sua ossessione.
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