Venerdì 22 febbraio, ore 20,30, primo canale, confronto tra i candidati premier delle sei principali coalizioni. La Rai ha una grande occasione, forse l’ultima, per dimostrare di essere realmente un «servizio pubblico». Che risponde, cioè, all’interesse pubblico dei cittadini e non a quello privato dei partiti; uno strumento imparziale di informazione per tutti e non di comunicazione parziale della casta politica.Se è vero infatti, come riportano gli ultimi sondaggi, che quasi un terzo degli elettori è ancora indeciso se e chi votare alle elezioni politiche di domenica prossima, un ottimo servizio ai cittadini sarebbe quello di mettere intorno a un tavolo (o dietro sei tribunette, non importa) chi si candida a guidare il Paese e tutti noi per i prossimi cinque anni. Si eviterebbe così all’elettore-spettatore di dover saltabeccare da un canale all’altro, da una trasmissione del mattino a un talk show serale per raccogliere slogan e invettive dei vari leader politici, offrendo invece la visione di un confronto (anche di uno scontro) paritetico a partire da una serie di domande sulle questioni concrete che occorrerà affrontare già dalle prossime settimane: come combattere la disoccupazione, stimolare la ripresa, ridisegnare il welfare senza penalizzare i più deboli, promuovere la famiglia e la difesa della vita, ristrutturare il sistema fiscale, difendere il territorio, ecc. Temi assai più interessanti delle quotidiane insolenze o frecciate rivolte agli avversari o del balletto stucchevole sulle possibili alleanze del dopo-voto, che oggi trovano ampio spazio nelle interviste ai singoli candidati ma che non aggiungono un
et alla conoscenza degli elettori.Il dibattito sul dibattito, per la verità, è in corso da qualche giorno fra le principali forze politiche. E le resistenze che vengono ora dall’una ora dall’altra parte a ritrovarsi a faccia a faccia in televisione sono l’ennesima riprova che i capipartito continuano a ragionare più in termini di convenienza di fazione che di interesse generale, di tattica e strategia anziché di progetto e servizio. In molti casi, nascondendosi dietro motivazioni di carattere procedurale, invocando la legge sulla
par condicio e quant’altro possa loro servire da scusa. In realtà, la legge non solo non proibisce i confronti tra i candidati leader, ma soprattutto non assegna ad alcuno poteri di veto: "Se non vengo io, non si può fare". Il regolamento predisposto dalla Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai (e in maniera analoga il regolamento dell’Agcom per le emittenti nazionali private) specifica infatti che «L’eventuale rinuncia di un soggetto avente diritto a partecipare alle Tribune non pregiudica la facoltà degli altri di intervenirvi, anche nella medesima trasmissione, ma non determina un accrescimento del tempo loro spettante. Nelle trasmissioni interessate è fatta menzione della rinuncia» (art.8, comma 11). Nessuno può dunque condizionare con la propria assenza l’eventuale svolgimento di un simile dibattito né scegliere gli interlocutori che – a lume di ragione – dovrebbero essere i leader delle coalizioni o i loro candidati premier, qualora la figura non coincidesse.Come dire: la legge è dalla nostra. E allora fondamentale diventa ripristinare la giusta prospettiva: non adeguarsi a ciò che i partiti politici pensano sia meglio o conveniente per loro, ma riappropiarci come cittadini del diritto di essere adeguatamente informati sulle offerte politiche. Attraverso quello strumento – il servizio pubblico radiotelevisivo – che ha la corretta e completa informazione come compito costitutivo e per il quale, non a caso, paghiamo il canone. Perciò ci permettiamo di suggerire una mossa alla Rai: programmi il confronto e inviti i leader. Dimostrerebbe così di essere autonoma dai partiti, davvero a servizio dei cittadini. Poi, ognuno degli interessati deciderà e noi tutti giudicheremo.