E' prevista per oggi la riunione del Consiglio dei ministri chiamato ad approvare il decreto per la liquidazione coatta di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Il tempo è poco (l’obiettivo è chiudere tutto al più tardi entro domenica sera) e i passaggi necessari sono diversi. Prima, ieri sera la Banca centrale europea ha attestato formalmente che i due istituti sono 'failing o likely to fail', cioè vicini al fallimento. Quindi il Meccanismo di risoluzione unico (Srm), che è un ente europeo indipendente, ha stabilito che la condizione delle due banche non pregiudica la 'stabilità finanziaria': Veneto Banca e Pop. Vicenza possono pertanto essere sottoposte alla procedura prevista dalle norme italiane, evitando la 'risoluzione' europea (quella, per intenderci, che colpì a novembre 2015 i 4 istituti locali, Etruria in testa).
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Con questo doppio 'Ok' i ministri potranno approvare il decreto per liquidare i due istituti. Per permettere il trasferimento alcune delle attività 'buone' delle due venete a Intesa Sanpaolo, il testo dovrà accontentare però le richieste della banca guidata da Carlo Messina, che ha chiesto esplicitamente «una cornice legislativa, approvata e definitiva» che accompagni l’operazione. Intesa vuole escludere ogni possibile sovracosto e impatto sui suoi conti per rispettare gli impegni presi con gli azionisti riguardo i dividendi e non dover essere costretta a un aumento di capitale per rafforzare i suoi coefficienti patrimoniali una volta assorbiti gli sportelli e i crediti sani delle due banche. Questo significa anche non doversi fare carico del personale in eccesso. Ma su questo punto ieri è scoppiato un caso. Secondo Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, la direzione Concorrenza della Commissione europea avrebbe chiesto all’Italia, come condizione per approvare l’operazione, che i dipendenti in eccesso non escano con prepensionamenti a carico dello Stato (come invece accadrebbe secondo il piano disegnato da Intesa Sanpaolo) ma con licenziamenti secchi o comunque senza spese per le casse pubbliche. «In Europa c’è chi vuole i licenziamenti e il fallimento di Popolare di Vicenza e Veneto Banca», ha attaccato Sileoni facendo appello al governo perché protegga anche i bancari. Una richiesta rilanciata da Fit Cisl e Fisac Cgil.
Da Bruxelles non hanno confermato né smentito di avere chiesto di non usare i fondi pubblici per gestire il personale in eccesso: «Sono in corso contatti costruttivi per raggiungere una soluzione praticabile in linea con le regole Ue e si stanno facendo buoni progressi al riguardo», si è limitato a ripetere un portavoce della Commissione. Paolo Gentiloni, che ieri mattina era nella capitale belga per partecipare al Consiglio europeo prima di precipitarsi a Roma per fare il punto con Padoan, non è stato generoso di dettagli, ma non ha citato i dipendenti: «Mi sento di confermare totalmente la garanzia per i risparmiatori e i correntisti», si è limitato a dire. In gioco ci sono diverse migliaia di dipendenti. Secondo le stime l’integrazione delle due banche con il gruppo Intesa porterebbe a circa 4mila persone di troppo (su 11mila addetti totali delle due venete), per un costo totale di 1,2 miliardi. Di questi, però, solo 1.200 nelle 2 venete avrebbero i requisiti, mentre gli altri esuberi sarebbero di Intesa. Dovrebbe provvedere il fondo del settore, finanziato dalle stesse banche ma 'asciugato' dalla crisi di questi anni. Il governo lo ha rifinanziato con l’ultima manovra, stanziando 648 milioni in 5 anni per i prepensionamenti dei bancari. Fondi da utilizzare per un massimo di 25mila persone, tra quest’anno e il 2019. Ma gli esuberi 'strutturali' previsti dal sistema bancario per adeguarsi all’innovazione sono circa il doppio e quelli delle banche salvate si vanno ad aggiungere a questo conto. E non è per nulla scontato che Bruxelles accetterà che sia lo Stato a provvedere ad aiutare le banche ad alleggerirsi dal personale in eccesso. Altro nodo è il 'no' di Intesa alla richiesta del governo di partecipare al rimborso dei titolari di obbligazioni subordinate, che saranno praticamente azzerate insieme agli azionisti.