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Attività che stimolano e allo stesso tempo cercano di rallentare il declino cognitivo. Musica come terapia e accoglienza per tutti, anche per i caregiver. Dentro un Caffè Alzheimer c’è questo ma soprattutto c’è la possibilità per la persona colpita dalla malattia di essere inserita in una rete che non la stacchi dal resto della comunità. L’idea dei Caffè, nata dalla Fondazione Maratona Alzheimer, ha cominciato a prendere piede a inizio degli anni 2000. Ora è diventata matura: conta già 18 realtà in nove regioni ed ha intenzione di diffondersi ancora.
Dal “Palazzo Dolcini” di Mercato Saraceno, in provincia di Forlì-Cesena, in occasione ell’Alzheimer summit 2024, concluso ieri, la Fondazione ha lanciato l’obiettivo di estendere il progetto “Caffè Alzheimer diffuso”, in collaborazione con l’Associazione italiana di psicogeriatria, in altre 50 città di 15 regioni italiane.
«Nei Caffè – spiega il presidente della Fondazione, Stefano Montalti – il benessere della persona si crea tramite la relazione. Quello che ci auguriamo è che sia un modello utile, per far avanzare sulla strada della consapevolezza l’attenzione verso esperienze ben pensate e vicine alle persone. Di solito non siamo protagonisti diretti, ma favoriamo la nascita di attività formative e, prima di inserire un Caffè costruiamo una rete, composta da persone che si interessano e si relazionano fra loro. Se ben attuati – commenta –, i percorsi portano con sé la rottura dei confini esistenziali e diventano un paradigma di nuova condivisione. Le comunità in questo modo cambiano e accolgono allo stesso tempo».
La proposta di portare a 80 il numero dei Caffè da qui ai prossimi tre anni è confortata dallo studio delle esperienze già realizzate con la supervisione scientifica e la collaborazione dell’Associazione italiana di psicogeriatria, dell’Istituto di Neuroscienze di Padova del Cnr, della onlus Alzheimer Uniti Italia e della Amici di Casa Insieme Odv. In base all’analisi, i beneficiari stimati per i nuovi Caffè che saranno aperti sono fra le 800 e 1.200 persone a cui si aggiungono 80 professionisti, circa 240 volontari, i familiari e i caregiver.
«Da oggi – prevede Montalti – al prossimo Forum nazionale dei Caffè Alzheimer (in programma a settembre, ndr) ci muoveremo sul territorio nazionale, verso i promotori, per riprendere la tematica e le metodologie del lavoro».
La Fondazione però punta ancora più in alto e di recente ha inviato una proposta indirizzata al governo, in cui si chiede di aprire mille Caffè, da inserire nella rete dei servizi territoriali sociali e sanitari, in virtù dei finanziamenti del Fondo Alzheimer nazionale o del Fondo sanitario. «Con l’investimento di pochi milioni di euro – osserva il presidente –, riusciremmo a diffondere una pratica di cura psicosociale che dà benessere ed effetti anche nella comunità. I mille Caffè darebbero supporto a 30mila beneficiari e, specie nelle realtà italiane, dove le reti di servizio sono più deboli, potrebbero rappresentare un presidio di riferimento per persone e famiglie. Istituendo i percorsi – sottolinea – aumentiamo la consapevolezza e pure le istituzioni hanno una agevolazione nelle scelte da compiere».
Durante l’evento di Mercato Saraceno, la Fondazione ha presentato anche due testi. Il primo, “I Caffè Alzheimer in Italia: manuale operativo” (Maggioli editore), a cura dello stesso Montalti, Stefano Boffelli e Marco Trabucchi, è un volume che raccoglie le metodologie e le attività da adottare, per strutturare i Caffè Alzheimer e formare i caregiver. Il secondo si intitola “Le parole che non ti aspetti. Il lento svanire della mente: le demenze fra dimensione biologica, clinica, sociale e spirituale” (Il Mulino), è curato da Laura Calzà e Marco Trabucchi, presidente e membro del comitato scientifico della Fondazione, ed è una raccolta di saggi fra i quali anche quello a firma di Flavia Franzoni Prodi, scritto poco prima della sua scomparsa lo scorso anno.