Qualcuno teme già che possa essere un nuovo Congo, per le adozioni italiane. Era il 25 settembre del 2013 quando Kinshasa annunciò improvvisamente il congelamento delle pratiche: «Basta, i bimbi restano qui». Fu l’inizio di un’epopea infinita per oltre un centinaio di famiglie, e di bambini. Ora tocca all’Etiopia.
Le famiglie, i ritardi. La decisione del Parlamento di Addis Abeba è arrivata come una doccia fredda a inizio settimana: inaspettata, dalla Commissione adozioni internazionali e dagli enti adottivi, visto che appena 24 ore prima l’ambasciata italiana aveva assicurato tutti sulle buone intenzioni del governo locale, specie nei confronti di Roma. E, tuttavia, ampiamente annunciata visto che la questione dell’adozione dei bimbi etiopici è al centro di un acceso dibattito nel Paese del Corno d’Africa sin dal 2013, in seguito alla morte misteriosa di una 13enne negli Stati Uniti, imputata alla responsabilità dei genitori adottivi. Un centinaio le famiglie coinvolte dalla decisione: 22 già protagoniste di un abbinamento (dunque già in contatto con un bambino), 85 con dei dossier aperti sul Paese. «Da tre anni avevamo smesso di indirizzare famiglie sull’Etiopia – spiega Paola Crestani, presidente del Ciai (Centro italiano aiuti all’infanzia) –, la situazione era delicatissima, il malumore nel Paese molto forte». L’ente è il primo, nella storia italiana, ad aver adottato un bimbo dall’Etiopia (era il 1990) e tra i soli sette autorizzati a operare nel Paese (insieme a Aiau, Ami, Enzo B, Centro aiuti per l’Etiopia, Cifa e Icplf): «Forse ci si doveva muovere prima, anche semplicemente nel raccomandare agli enti di non assumere nuovi incarichi e avviare abbinamenti nel Paese». Uno stop arrivato per la prima volta dalla Commissione italiana soltanto lo scorso novembre.
Cinque anni di black-out. Nella vicenda dell’Etiopia, d’altronde, si intreccia anche la paralisi toccata alla Cai nell’ultimo quinquennio e fino alla nomina – prima dell’estate – del vicepresidente Laura Laera, che soltanto da settembre ha ripreso a riunire l’organismo e a dialogare con enti e famiglie. «Paghiamo questi anni di vuoto e la totale assenza di dialogo coi Paesi stranieri», sbotta Gianfranco Arnoletti, presidente di Cifa. L’ong, che nel 2017 ha incassato il primo posto in Italia per numero di bimbi adottati (139), ha 30 famiglie nel nuovo “tritacarne” Etiopia: «Sono tutti angosciati, ci chiamano ogni giorno, vogliono sa- pere quello che sta succedendo. E noi glielo spieghiamo come possiamo, visto che per leggere il testo di questa nuova legge dovremo aspettare almeno un mese». Difficile, l’Africa. E difficilissima l’Etiopia «dove mentre i politici si fanno sgarbi e presentano provvedimenti quando non c’è opposizione, come pare sia andata in questo caso, gli istituti traboccano di bambini abbandonati che hanno bisogno di famiglie. Non a caso – continua Arnoletti – l’Etiopia è anche il Paese su cui si concentrano più progetti di cooperazione dell’Unione europea e dell’agenzia italiana». E quello da cui, fra il 2000 e il 2015, abbiamo adottato 3.115 minori.
I tavoli aperti. «La verità è che i Paesi che “chiudono” sono una sconfitta per il sistema adozioni – è il parere di Marco Griffini di Aibi –. C’è l’Etiopia, sì, ma ci sono anche Nepal e Cambogia, per esempio, che da tempo ci chiedono di riaprire il dialogo e le porte. E ancora la Bolivia, con cui solo negli ultimi mesi siamo riusciti in qualche abbinamento, e lo stesso Congo, dove l’Italia di fatto non adotta più». La buona notizia è che i tavoli sui singoli Paesi sono ricominciati, proprio in questi giorni, in Commissione: «Abbiamo affrontato proprio i nodi del Nepal, della Vietnam, del Burkina Faso », rivela Maria Teresa Maccanti del Network aiuto assistenza accoglienza (Naaa). La Cai adesso programma viaggi, incontri, nuovi accordi bilaterali. Cestina documenti e decisioni approvati monocraticamente dall’ex vicepresidente, Silvia Della Monica, e sottopone tutto alle decisioni collegiale, come previsto dalla legge. «C’è tanto da fare per ripartire – continua Maccanti –: i numeri ci parlano di una crisi senza precedenti, nel 2017 per la prima volta anche noi ci siamo attestati sotto le 100 adozioni». Il conteggio al livello nazionale non avrebbe superato le 1.200 (queste le stime ormai quasi certe), ed è un minimo storico. «Ma vediamo la buona volontà e il dialogo, che per troppo tempo sono mancati».
L’appello alla politica. Gli enti adottivi si riuniranno presto, in blocco, anche per lanciare un appello forte e condiviso alla politica: «È soprattutto alla mancanza di un progetto politico, negli ultimi cinque anni, che ci troviamo in questa situazione critica – continua Griffini –. Se è vero che l’Italia ha bisogno di un piano sulla natalità e l’Europa di un piano Marshall per l’Africa, le adozioni non possono essere messe più da parte». Oltre l’Etiopia – e oltre le elezioni – il mondo delle adozioni chiede una svolta.