L'aborto, le donne e gli "stili di vita incivili": la verità dietro gli slogan
lunedì 17 febbraio 2020

«Mi hanno teso una mano quando stavo per affogare. Se Federico è nato, lo devo a loro. Non sapevano niente di me, ma hanno amato me e il mio bambino, senza condizioni». La voce di Amina, 17enne di origine straniera, si staglia limpida sul cicaleccio confuso che abbiamo ascoltato nelle ultime ore sull’aborto. Amina
non aveva famiglia, era sola al mondo, aveva deciso di abortire perché «che futuro potevo dare a un figlio?»; all’ultimo minuto ha incontrato i volontari del Movimento per la vita e il Progetto Gemma di adozione prenatale a distanza. Ma la voce limpida di Amina non sembra interessare a nessuno. È un
peccato, perché avrebbe molto da insegnare.

Il leader della Lega Matteo Salvini domenica durante un comizio a Roma ha stigmatizzato l’utilizzo dei Pronto soccorso italiani come supermarket degli aborti ripetuti da parte di donne «né di Milano né di Roma», come «soluzione a stili di vita incivili». Parole inesatte o addirittura fuorvianti per vari motivi. Il
primo è che le donne non vanno ad abortire al Pronto soccorso. L'iter è ancora e sempre quello fissato dalla legge 194 del 1978 e prevede una visita ginecologica, una "sospensione" di 7 giorni e poi la procedura, chirurgica o farmacologica, in un ospedale o in un centro autorizzato. Il secondo motivo è che il fenomeno delle «recidive», pur gravissimo, in Italia è decisamente meno frequente che in altri Paesi, con valori tra i più bassi a livello internazionale: lo 0,9 per cento delle donne sottoposte a Ivg nel 2017 (in totale 80.733, in costante diminuzione dal 1982) avevano avuto 4 o più aborti precedenti (una percentuale minima, dunque), che l'1,4 ne aveva avuto 3 precedenti, che 5,1 per cento ne aveva avuti 2 precedenti.

Il terzo motivo – il più importante – per cui le parole del leader della Lega sono fuorvianti riguarda gli «stili di vita» che le donne straniere adotterebbero e che sarebbero la causa degli aborti ripetuti. Se è indubbio che per una (minima) parte di donne e dei loro uomini l’aborto è vissuto come contraccezione d’emergenza (ma

ciò riguarda soprattutto l’utilizzo delle pillole del giorno dopo, non censito dalle statistiche sulle Ivg), la situazione più frequente è quella di povertà materiale e culturale, solitudine e sopraffazione. «Stili di vita incivili» di cui le donne non sono protagoniste ma vittime: ragazze dalle quali lo sfruttatore finale – italiano – pretende rapporti non protetti. Giovani immigrate che svolgono lavori non regolari, sottoposte a duri ricatti sulla propria vita personale.

Nessuno, né domenica né lunedì, ha parlato di tutto questo, seppellendo nella rissa para-politica un tema
serio, serissimo, nascosto, se non addirittura “segretato”: la solitudine e l’abbandono in cui si trovano le donne più fragili di fronte a una gravidanza indesiderata. Questo sì, dovrebbe far discutere. Questo sì, dovrebbe indignare.

Se Salvini ha scelto uno slogan sbagliato e infelice (“I Pronto soccorso come supermarket degli aborti per rimediare a uno stile di vita incivile”) la replica della sinistra è stata altrettanto deludente, con un contro-slogan del leader del Pd – «Giù le mani dalle donne» – ugualmente fuorviante. Il riflesso condizionato della sinistra, quando si parla di aborto, è alzare le barricate in difesa dell’autodeterminazione delle donne, della libertà/diritto di scegliere e della intangibilità della legge 194. Insistere su questi tasti assomiglia a un tentativo di distogliere l’attenzione sulla questione vera. Di che libertà esattamente parla la sinistra quando una donna si sente obbligata ad abortire perché non ha i mezzi per affrontare la maternità? Che genere di autodeterminazione c’è quando ad abortire è una ragazza straniera sfruttata sui campi o sul ciglio di una strada? Quello che è mancato nel dibattito ancora una volta ideologico di queste ore, a destra come a sinistra, è la voce di Amina e delle migliaia che, a differenza di lei, non hanno trovato una mano tesa.

Allora, rovesciamo lo slogan: non «Giù le mani dalle donne», bensì «Mani tese alle donne», soprattutto a quelle più fragili. Con i sostegni per altro previsti e mai attuati dalla 194, che non a caso si intitola "Legge contenente norme per la tutela sociale della maternità". E si dimostri, con scelte politiche non ideologiche ma coraggiose e di autentica umanità, come fa da mezzo secolo il Movimento per la vita con le sue mani tese, che ciò che sta a cuore non è solamente la difesa del principio astratto dell’autodeterminazione in quanto tale, ma la concreta libertà dalla solitudine, dalla sopraffazione, dal bisogno, dalla povertà. La libertà di scegliere per la vita.

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