A febbraio, era una banale influenza per tutti: virologi da palcoscenico, direttori sanitari, lo stesso Cnr... Un mese dopo, l’aveva detto solo lei. L’hanno crocifissa e lei ricambia scrivendo un libro sull’infodemia. Maria Rita Gismondo, direttore del laboratorio Microbiologia clinica, virologia e bioemergenze del polo universitario L. Sacco di Milano, è l’autrice di “Ombre allo specchio - bioterrorismo, infodemia e il futuro dopo la crisi” edito da La nave di Teseo.
Ci riproviamo. Il Covid-19 è "poco più grave di un’influenza" – la frase scandalo – solo perché lei è una donna?
Guardi, non sono una femminista sfegatata, mio padre voleva un maschio e io sono venuta su testarda e ribelle, ma la domanda mi tocca sul vivo, lo ammetto. Non ho mai capito perché, trovandomi in ottima compagnia con colleghi ricercatori che hanno minimizzato gli effetti possibili di questo coronavirus e non sono mai stati attaccati per questo, sia stata criticata (pesantemente) solo io. Si sa, non sono diplomatica...
Direbbe ancora che questo virus è «poco più grave di un’influenza»?
Ora no, ma in gennaio e febbraio, quando qualcun altro sosteneva che è più facile essere colpiti da un fulmine (il riferimento è al collega virologo Burioni, ndr) eravamo tutti condizionati dalla Sars. Nel 2002 avevamo vissuto l’epidemia di un coronavirus che aveva fatto qualche centinaio di morti in Asia e all’inizio di febbraio avevamo pochi casi fuori dalla Cina. Quello che ci ha fregati è aver pensato che il Covid-19 fosse appena arrivato mentre stava circolando da tempo e infatti con i dovuti test sono venuti fuori i positivi asintomatici. Comunque, parlando degli uomini e delle donne di scienza, abbiamo detto tutti la stessa cosa e tutti non abbiamo sbagliato a dirla, ma abbiamo sbagliato perché il "dopo» ci ha smentiti; allora era la cosa più ovvia da dire.
Violare la privacy, diffondere il panico infondatamente, calunniare: nel libro se la prende con questi comportamenti, ma non ci è caduto anche il governo italiano?
L’infodemia è servita a tutte le categorie che hanno avuto un ruolo in questo Covid: conveniva al governo parlarne tanto per essere centrale sulla scena, alla gente per sentirsi protetta, ai media per lavorare e a noi virologi, che riemergevamo dall’oblio in cui eravamo calati dopo l’Hiv. Ma questo non è un comportamento doloso, siamo uomini e donne, commettiamo errori, abbiamo vanità, ci piace andare in tv...
La pandemia si identifica con la peste nera ma ci sono tante altre epidemie mortali in giro, a partire dal “banale” morbillo. Non è mica che nell’oblio di cui parla gli infettivologi avessero dimenticato come si ferma un virus?
No, lo escludo. Al Sacco abbiamo casi di virus tutto l’anno e tutti noi lavoriamo sia qui che in Africa e Asia. Certo, questa branca della medicina è diventata per molto tempo una Cenerentola, sia in termini di attenzione che di finanziamenti.
Lei crede ai dati del governo sui morti di Covid?
Ho molte perplessità. Come scrivo nel libro, nelle statistiche ufficiali sono finiti i pazienti che hanno malattie intercorrenti. Sono stata criticata per aver sottolineato che in un lavoro dell’Istituto superiore di sanità, 3 pazienti su 355 presentavano “zero patologie” se non il Covid-19 e quasi il 50 per cento dei deceduti aveva ben 3 patologie pregresse. Sto ponendo delle domande che resteranno senza risposta. Quanti sono stati i morti tra i malati ricoverati per altra patologia? Quanti erano i malati a casa?
Avremo una risposta?
No, perché sono stati cremati tutti e proibite le autopsie, non avremo modo di sapere. Mai. E la cosa più sconvolgente sa qual è?
Quale?
Che hanno bruciato tutto in tutti i Paesi del mondo e ovunque erano sconsigliate le autopsie, per quanto si sapesse che il contagio avviene per via aerea. Un cadavere non respira. Solo dopo aver fatto alcune autopsie abbiamo chiarito che la polmonite era l’ultima causa del decesso e che in genere vi era una vasculopatia dissennata. L’emergenza è stata gestita anche sulla base di numeri fuorvianti e irreali.