Un modello per l’Europa, una buona pratica replicabile, una via sicura di accesso per chi parte e per chi accoglie. Sono i corridoi umanitari, inventati dalla collaborazione tra chiese cristiane e istituzioni, che da febbraio 2016 hanno accolto e integrato circa 2.100 profughi siriani, somali ed eritrei. Più altri 600 tra Francia, Belgio e Andorra. E presto anche in Germania, grazie alla chiesa evangelica di Vestfalia. Una scommessa vinta, che ieri ha ricevuto dall’Acnur, l’agenzia per i rifugiati delle Nazioni Unite, il prestigioso Premio Nansen 2019 per la regione Europa. Il 24 e 25 settembre a Fiumicino si replica, con l’arrivo di un altro centinaio di siriani. L’annuncio del premio – intitolato a Fridtjof Nansen, esploratore norvegese e primo Alto commissario per i rifugiati della Società delle nazioni dal 1920 al 1930 – è arrivato ieri nella nuova sede dell’Ac- nur in zona piazza Vittorio, presenti i promotori: Caritas italiana per la Cei, Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), Tavola Valdese.
Con loro anche i funzionari dei ministeri dell’Interno e degli esteri - Michele Di Bari e Luigi Maria Vignali – che curano l’aspetto amministrativo, legale e diplomatico. Il primo protocollo, firmato a dicembre 2015 da S.Egidio, Fcei e Valdesi, ha visto il trasferimernto di 1.035 rifugiati, soprattutto siriani fuggiti in Libano. Il secondo, attivato a gennaio 2017 dalla Cei attraverso la Caritas, in collaborazione con Sant’Egidio, ha portato in Italia 498 eritrei e somali rifugiatisi in Etiopia. Il terzo, aperto a novembre 2017 per altri 1.000 rifugiati, per ora ne ha portati 595, tutti siriani.
A maggio 2019 la Cei ha firmato un altro protocollo al Viminale che per il trasferimento di 600 persone: siriani dalla Giordania, somali ed eritrei dall’Etiopia, subsahariani dal Niger. Tutti prevedono accoglienza e integrazione totalmente a carico dei promotori, cioè diocesi, parrocchie e comunità cristiane riformate. «I corridoi umanitari rappresentano una grande sfida e allo stesso tempo dimostrano che gestire in modo umano e sicuro l’arrivo dei rifugiati è possibile», spiega Roland Schilling, rappresentante Acnur per il Sud Europa. «Un canale sicuro che permette alle persone di arrivare in dignità, senza dover ricorrere ai trafficanti rischiando la vita». I corridoi «rappresentano un segno tangibile di solidarietà internazionale anche nei confronti di quei Paesi, come il Libano e l’Etiopia, che accolgono un numero altissimo di rifugiati. Si parla molto di quelli che arrivano in Europa, ma è fuorviante: la maggior parte, oltre l’80%, vivono in Paesi in via di sviluppo».
«La prima motivazione è nata da un moto di indignazione – spiega per la Comunità di Sant’Egidio Claudio Cotatellucci - e cioè la volontà di interrompere le morti in mare: è paradossale che la protezione cui si ha diritto sia inaccessibile e si debba rischiare la vita». «Per noi i corridoi sono soprattutto una sfida culturale - dice Oliviero Forti della Caritas italiana – perché l’accoglienza dei profughi è un tema divisivo e che crea conflitti sui territori, cioè lì da dove nascono le scelte politiche fatte dai governi. È un modo per far capire alle nostre comunità che questo è un tema da affrontare con consapevolezza e non da delegare a Terzo settore e istituzioni». Alessandra Trotta della Tavola Valdese sottolinea «il valore ecumenico dei corridoi, portati avanti dalle Chiese cristiane attraverso un’accoglienza diffusa e accompagnata».
Luca Maria Negro della Fcei sottolinea che «è una buona pratica replicabile». Oltre a Francia (390 rifugiati), Belgio (150) e Andorra (12), «presto i corridoi esordiranno anche in Germania». L’annuncio è arrivato nei giorni scorsi da Annette Kurschus, presidente della Chiesa evangelica della Vestfalia: il progetto si chiama Neustartim Team cioè «ripartire in squadra», abbreviato in NesT, che in tedesco significa «nido». «Questo premio lo dedichiamo a tutte le persone ancora rinchiuse nei lager libici – aggiunge Luca Maria Negro – perché finalmente l’Unione europea realizzi corridoi umanitari per un’evacuazione umanitaria distribuita nei paesi membri». E ricorda che «intanto va salvato chi è costretto a prendere la via del mare: come i corridoi, così sono altrettanto legali i salvataggi operati dalle ong, che agiscono come il buon samaritano che salva il viaggiatore ferito».
Che i corridoi funzionino anche come strumento di integrazione lo testimonia Danait Guush Grebreselassie, insegnante di 28 anni, arrivata dall’Etiopia, accolta a Trivento dall’arcidiocesi di Campobasso-Bojano. «Sono fuggita dall’Eritrea – dice in perfetto italiano perché lì non si può vivere. C’è un regime dittatoriale che impone il servizio militare obbligatorio che dura quasi tutta la vita. Nessuno di noi è in grado di avere una vita dignitosa: non possiamo studiare, avere una famiglia o lavorare. Ora ho ripreso i miei studi e lavoro come come mediatrice: voglio aiutare altri ragazzi a ricostruire le loro vite da zero».