John Kinsella, australiano, nato nel 1963, è una delle voci più originali della
poesia della sua generazione. Autore di più di una cinquantina di libri fra
poesia, narrativa, saggistica, critica letteraria e teatro, è stato insignito di
prestigiosi premi internazionali. È Extraordinary Fellow of Churchill College
alla Cambridge University, in Gran Bretagna. Anarchico e pacifista, è molto
impegnato nella causa ecologica, su basi assolutamente non violente. Tra le sue
opere spicca Divine Comedy (2008), un viaggio in tre movimenti – sul modello del capolavoro di
Dante – attraverso il paesaggio australiano. Kinsella svolge inoltre un’intensa
attività per il quotidiano inglese The
Observer e per numerose riviste. Il critico
letterario Harold Bloom, noto per la sua severità, ritiene John Kinsella tra le
voci più autentiche e ispirate della poesia contemporanea in lingua
inglese.Nato in Australia nel 1963, John Kinsella è uno dei più interessanti poeti di quella generazione. Indefinibile la sua lingua, anche i critici più attenti ne rilevano la mobilità passante dall’enigmatico al lirico: una lingua poetica inglese nuova, complessa e ricca. Un ermetismo di ascendenza mallarmeana, quindi più musicale che oscuro: Kinsella scrive versi sentendo la poesia intonata al divenire della natura, imita la vita degli elementi, e ne registra i traumi. Pare cogliere le vibrazioni sotterranee. In tal senso l’opera poetica si lega al suo impegno ecologico: non pensiamo assolutamente a una poesia programmatica, ideologica. Una cosa è avere alle spalle gli scritti di Marx e Lukács, come era per intellettuali dell’oscurantismo d’Occidente (Brecht, o, in Italia, tutti quelli che censurarono Ungaretti, Montale, Luzi, cioè il meglio, in nome dell’ideologia), un’altra avere come
background gli alberi, il canto dell’acqua, l’amore per la terra e la vita elementare, che Kinsella ama di fraternità pacifica, fatta zolla. In tal senso il lettore, oltre a privilegiare qui i versi tradotti da Maria Cristina Biggio sull’intervista (i poeti, come tutti gli artisti, contano per la loro opera), non si lasci trarre in inganno dalla un po’ semplicistica dichiarazione di Kinsella per cui la poesia è sempre politica: non sta parlando di ideologie, tanto meno di regimi, ma della vasta
polis del mondo, la città che ha sfigurato il suo volto distruggendo la natura e impoverendo la sua anima. È una tradizione anglofona, questa della poesia che si ribella in nome della Natura, sinonimo profano di
Anima Mund i: Shelley con le sue odi al vento d’Occidente, alla nuvola, il Rinascimento americano di Emerson e Thoreau… Immediatezza, immersione nel respiro del mondo, un po’ come il fotografo Salgado: parla di alberi e terre, ma sta raccontando l’anima.
Perché la poesia è necessaria?«Credo che tutta la poesia sia politica, in modi diversi, e in quanto tale la poesia è per me una forma di attivismo. Quando scrivo del mondo naturale io spero che i miei punti di vista contribuiranno alla causa ecologica. Non mi interessa scrivere poesie da esporre come manufatti nei musei, ma una poesia viva, respirante, coinvolta nella crisi in cui è immerso il mondo. Come poeta di paesaggio, interessato a esplorare le particolari caratteristiche e qualità di un luogo, io spero di agire come testimone, di prevenire danni che stanno per accadere, di preservare. Mi definisco vegano-pacifista, ho idee molto forti su come potremmo rispettare, conservare e sperimentare il mondo in cui viviamo, specialmente il mondo della natura; e trovo la poesia un mezzo per articolare queste posizioni molto più efficace rispetto all’essere costantemente arrestato e chiuso in cella, come accadeva quando ero un giovane attivista. La resistenza pacifica ha ancora un posto importante nella mia vita, ma sono convinto che la poesia sia un suo veicolo naturale».
C’è una relazione tra poesia e speranza?«Per me la poesia riguarda la speranza
in toto. Quando porto l’attenzione su quello che ho definito “il danno compiuto” (sfruttamento, crudeltà) è perché credo che esista un’altra strada. La poesia diventa una efficientissima “lente”, che consente di mettere a fuoco la realtà in funzione di un cambiamento positivo. Io sostengo con forza i diritti alla terra degli indigeni nel mondo, e provengo da un luogo dove la popolazione indigena è stata derubata della propria terra senza un minimo di compensazione. Tutte le nazioni pretendono una tradizione “letteraria”, e la letteratura di ogni nazione (per me specialmente la poesia), parla costantemente dei torti subiti, del furto della terra, spossessamento, ineguaglianza, così come della forza e ricchezza culturale delle comunità spossessate. La poesia, per me, è legata alla speranza».
La poesia può contribuire a una rinascita dell’uomo?«Certo. Lo fa da sempre. Per me, un Nuovo Rinascimento significa un impegno prioritario: se noi non agiamo adesso per attenuare il danno che è stato fatto, non ci saranno né un pianeta, né uomini da far rinascere. Davvero è necessario un Nuovo Classicismo che significa una più armonica relazione con il mondo naturale, e prendendo come modelli per l’arte e l’esistenza, quelli che derivano dalla “natura”, che persistono da tanto tempo. Il che non significa negare l’ipotesi di cambiamenti o “sviluppi”, ma semmai che questo cambiamento dovrebbe essere più organico e meno dannoso, più rispettoso del progresso “naturale” e dei cambiamenti della biosfera, piuttosto che di quelli forzati, innaturalmente imposti dagli umani».
C’è una relazione, secondo lei, tra la sfera della poesia e quella del sacro?«Secondo me la poesia contiene sempre un aspetto spirituale. Io scrivo di spiritualità, ma non appartengo ad alcuna religione. Molti dei miei poeti preferiti, da Dante a Milton, sono quelli che hanno avuto la religione come centro assoluto e tema primario… Ma io sono convinto che lo spirito umano abbia bisogno di trovare la propria direzione e la propria libertà. L’illuminazione può avvenire per molte vie. Osservare il mondo naturale, ascoltare da un vecchio contadino il racconto della sua vita, guardare il sole sorgere o tramontare, sono per me più formative di tanti riti che sono divenuti vuoti per essere stati imposti e offerti come la “retta via”. A volte la via “sbagliata” arricchisce di più. Raramente le poesie sono perfette, e il loro elemento “sbagliato” può essere più formativo e spirituale di quello “esatto”. Un’imperfezione nel ritmo o nella prosodia in generale, qualcosa di non ben detto o ben udito o frainteso, possono irrompere in una poesia come una rivelazione, una nuova visione. Gli errori sono altrettanto importanti delle modalità “corrette” di fare le cose.
Vive la différence!»L'inedito
L’ALBERO FOLGORATO È puro lampo in questa
dura luce invernale. Alla sua base, acqua salmastra sparsa come una pellicola
esposta tutt’attorno a spartina & melaleuche – un osso spezzato che buca la
pelle.Sulla sua corona infranta, un airone d’alba si slancia, il suo
becco affilato trapassa il freddo cielo turchino – un fulmine invertito gli
folgora le ali –un crocifisso – che esita, come trattenuto da un magnete, per
poi lasciarsi cadere in volo, trascinando gli arti parafulmine. Traduzione di Maria Cristina Biggio