Totò in una scena del film «Totò sceicco» (1950) diretto da Mario Mattoli
Una Messa per Totò. Nella sua Napoli. Nel suo rione Sanità. A cinquant’anni dalla sua morte. Un’occasione per rendere omaggio al «principe della risata». E «per andare al cuore della sua spiritualità, che si manifesta nell’artista come nell’uomo», spiega don Davide Milani, presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo, che presiederà la celebrazione lunedì 22 maggio alle 19,30 nella basilica di Santa Maria della Sanità. Al rito (annuncia www.cinematografo.it) parteciperà anche il ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, dopo aver incontrato, alle 18 al Nuovo Teatro Sanità, le realtà del rione impegnate nel turismo, nella cultura e nella promozione del territorio. Cornice degli eventi del 22 maggio, il programma di iniziative organizzato dalla Fondazione di comunità San Gennaro proprio per ricordare lo «scugnizzo» del rione Sanità.
Non causale la scelta della data: «Il 22 maggio 1967 in Santa Maria della Sanità si tenne un "funerale a bara vuota" per quanti non avevano potuto partecipare al funerale del 17 aprile nella basilica del Carmine Maggiore, sempre a Napoli. L’artista era morto il 15 aprile a Roma. E a Roma, nella basilica di Sant’Eugenio in viale delle Belle Arti, si tenne la prima cerimonia, con la preghiera e la benedizione della salma – spiega don Milani –. Ho ricevuto l’invito a celebrare da don Antonio Loffredo, il parroco del rione Sanità. Il quartiere sta vivendo l’anniversario della morte di Totò come occasione per mettere in movimento e in rete le energie positive del territorio, proprio a partire dal "suo" principe e dalla riscoperta di quanto di positivo, bello, affascinante, attuale, c’è nel suo profilo umano e nella sua arte. Come presidente della Fondazione Ente dello Spettacolo sono onorato da questo invito», confessa il sacerdote, che è anche responsabile dell’Ufficio comunicazioni sociali della diocesi di Milano.
Aiuto ai poveri, sollievo ai sofferenti
«Nella figura di Totò vediamo gli elementi di una sana, viva spiritualità, che si manifesta nell’attenzione per i poveri e nella capacità di esprimere la verità della condizione umana – prosegue don Milani –. Visse l’attenzione ai poveri su due piani. Come artista ha sempre portato in scena gli ultimi, dando loro voce e smascherando i potenti. Come persona, si è sempre mostrato concretamente attento agli ultimi. Napoli ancora ricorda i suoi gesti nascosti, silenziosi di generosità: come le banconote di grosso taglio lasciate – o fatte lasciare – sotto la porta delle persone bisognose...».
Don Milani cita due celebri poesie di Totò per illuminare la sua attenzione all’uomo, alla realtà e alla verità della condizione umana. «’A livella si conclude così: Appartenimmo à morte! Certo: per un cristiano è una visione incompleta. Ma si tratta di un dato di fatto, di una verità naturale, che l’uomo d’oggi tende così spesso a dimenticare e rimuovere. Ed è una verità naturale che chiama un compimento, ci fa riconoscere bisognosi, nell’appello ad un redentore.... Ecco come si conclude, invece, La preghiera del clown: "C’è tanta gente che si diverte a far piangere l’umanità, noi dobbiamo soffrire per divertirla; manda, se puoi, qualcuno su questo mondo capace di far ridere me come io faccio ridere gli altri". Totò, parlando al Signore, rivolgendosi al suo "Protettore", chiede la forza per saper elevare e guarire, con le sue buffonate, le pene degli uomini. Riconoscendosi, a sua volta, bisognoso d’aiuto». Così il fare spettacolo del clown diventa un farsi spettacolo agli uomini. Un offrirsi. Un intercedere. Per la loro salvezza. Quella domanda di salvezza che abita innanzitutto il cuore del clown.
Fatti di terra, puntiamo al cielo
«Ebbene: nelle poesie, nel teatro, nel cinema di Totò torna, centrale, il povero; c’è, sempre, la miseria, anche quella estrema, quella della fame che ti divora. Ma c’è, sempre, l’ironia, lo sberleffo, la risata. Come a ricordare – sottolinea don Milani – che la fame materiale non è l’unica che ci morde, che soddisfarla non è tutto, ma che c’è un desiderio di pienezza, c’è una dimensione interiore, e ulteriore, che ci provoca e chiama... Totò nasce povero in canna e conosce la povertà per esperienza diretta. Ma ci tiene ad essere chiamato e riconosciuto principe: "il principe de Curtis". In lui co-abitano miseria e nobiltà, la sua vita e la sua arte ci ricordano che siamo fatti di terra ma puntiamo al cielo. Che siamo immersi nella lotta per la sopravvivenza, ma che tirare a campare non ci basta. Quanto abbiamo bisogno nel cinema, nell’arte, nella comunicazione di pensieri come questi, ma sapendo essere popolari: non pensosi, né all’opposto estremo sguaiati, ma autenticamente popolari, come seppe essere, come sa essere, Totò».