sabato 23 dicembre 2017
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno chiuso un’epoca della storia della Chiesa, quella del confronto con la modernità. Con papa Francesco ne inizia un'altra. Dialogo o scontro apocalittico?
Il pensatore e sacerdote ceco Tomaš Halík

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Due grandi papi, che ho potuto conoscere personalmente e con i quali ho potuto dialogare in più occasioni, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, hanno degnamente concluso una lunga epoca della storia della Chiesa. Con papa Francesco ha avuto inizio un nuovo capitolo della storia del cristianesimo. Il tema dell’epoca precedente era stato l’adeguamento alla modernità. Questo processo, difficile e doloroso per molti cristiani, è giunto a una felice conclusione, a mio parere, nel dibattito pubblico tra il cardinale Ratzinger e il filosofo Jürger Habermas, a Monaco di Baviera nel 2003. Entrambi hanno abbracciato l’opinione che il cristianesimo di oggi e l’umanismo secolare hanno bisogno l’uno dell’altro, perché ambedue possano sfuggire ai pericoli dell’unilateralità. Niente «guerre culturali» e demonizzazioni reciproche, né facili adattamenti o occultamento delle differenze, bensì dialogo, ricerca della compatibilità, arricchimento reciproco (...).

Papa Francesco ha ricevuto l’impegnativo compito di guidare la Chiesa in questo nuovo paesaggio spirituale, nell’era dei molti post- (post-moderno, post-secolare), nell’era della pluralità radicale, dell’interconnessione globale delle civiltà, in un momento in cui non è ancora chiaro se questa interconnessione alla fine porterà al dialogo e alla compatibilità, o a uno scontro apocalittico di civiltà. Sono convinto che papa Francesco abbia udito la stessa frase del suo omonimo otto secoli fa: Francesco, va’ e ripara la mia casa! Papa Benedetto ha fatto di tutto perché la casa della Chiesa, come il Tempio di Gerusalemme, includesse il «Cortile dei Gentili», dove coloro che oggi hanno fede nel «Dio sconosciuto » possano in qualche modo partecipare alla vita della grande famiglia della Chiesa. È stato in un certo senso un ulteriore passo sulla via tracciata da Giovanni Paolo II con lo storico incontro dei rappresentanti delle religioni di tutto il mondo ad Assisi: papa Benedetto ha invitato an- che gli agnostici e «i nostri fratelli atei» e ha suggerito loro – nello spirito di Pascal – di cercare di accettare Dio almeno come ipotesi, di vivere «come se Dio fosse». Il cardinale Bergoglio, poco prima di essere eletto al soglio pontificio, ha parlato di Cristo, che secondo le Scritture «sta alla porta e bussa» – ma oggi, ha detto Bergoglio, Cristo sta bussando alla porta della Chiesa dall’interno, vuole uscire fuori. La casa della Chiesa necessita indubbiamente di molte riparazioni. Ma la riforma più importante deve avvenire nella mentalità dei cristiani: bisogna uscire fuori, non solo oltrepassando i confini istituzionali della Chiesa, ma aprendo le porte del nostro pensiero e della nostra immaginazione, incontrando coloro che «non camminano con noi».

Gesù parla del pastore che deve lasciare novantanove pecore per andare a cercare una sola pecora perduta; papa Francesco aggiunge che il pastore di oggi deve lasciare una sola pecora devota per andare a cercare le novantanove che si sono perdute. Fino ad oggi, la Chiesa ha preparato i suoi servi soprattutto alla cura pastorale del suo gregge disciplinato o alle missioni per ricondurre al gregge le pecore perdute. Nel futuro al quale siamo ormai avviati, la Chiesa avrà un terzo compito, completamente diverso: accompagnare coloro che cercano. Secondo il sociologo Robert Wutnow, oggi la maggiore linea di divisione non è tra «credenti» e «non credenti», ma tra «residenti» ( dwellers) e «cercatori » ( seekers). E uno dei grandi segni dei nostri tempi è che i «residenti» (sia nel terreno dei credenti, sia in quello degli atei) stanno diminuendo, mentre aumentano i «cercatori » – quelli non tradizionalmente credenti, ma anche i «non credenti» – che comunque non sono persone affette da « amusia spirituale». Il mio Paese, la Repubblica Ceca, viene spesso definito come «il più ateo» dei Paesi europei, se non addirittura dell’intero pianeta. Ma non è così.

Coloro «che non camminano con noi», che hanno lasciato la casa della Chiesa o che non l’hanno mai trovata, non possono essere affrettatamente definiti atei, non credenti o «cattivi credenti». Molti di loro sono cercatori. Tuttavia, noi non possiamo presentarci a questi cercatori come «detentori della verità». Potremo intenderci solo quando prenderemo sul serio l‘immagine della Chiesa come comunità di pellegrini (communio viatorum). Non si tratta di cercare di integrare i «cercatori» nei confini istituzionali e mentali della forma attuale della Chiesa. Forse, per provvedere alla necessaria riparazione della casa di Dio bisogna aprire in modo radicale i confini mentali dei cristiani, e prima di tutto ascoltare con attenzione e rispetto, senza un frettoloso e zelante proselitismo, le esperienze di coloro che camminano lungo sentieri per noi nuovi e sconosciuti. Con mia grande sorpresa, negli incontri con i lettori in molte parti del mondo, ho constatato che la mia esperienza, ma-turata in una Repubblica Ceca fortemente secolarizzata, non è affatto sconosciuta e incomprensibile per le persone dei Paesi «di tradizione cattolica ». Anche per questo sono molto curioso di scoprire come sarà accolta in Italia.

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