È trascorso un anno e mezzo dalla grande mostra che le Scuderie del Quirinale dedicarono a Tintoretto. La mostra era curata da Vittorio Sgarbi, col coordinamento dello storico Giovanni C.F. Villa, giovane studioso che ha seguito molte delle maggiori mostre che in quella sede erano state fatte negli anni precedenti; oggi Villa, assieme al padre, Renzo, firma una monografia sul genio che dipinse il gigantesco ciclo della Scuola Grande di San Rocco a Venezia (curiosamente in bibliografia non è citato però il catalogo di quella mostra). L’opera, edita da Silvana (
Tintoretto, pagine 272, euro 25,00) si segnala per la profonda conoscenza dei due studiosi, che già avevano scritto a quattro mani un’importante monografia su Lorenzo Lotto, e per la tesi di fondo: Tintoretto ovvero Venezia. Cioè: «Tintoretto ha riassunto l’arte veneziana, come l’identità profonda della sua cultura, e l’ha proiettata verso l’Europa». Hai detto niente, se si pensa alle scomuniche longhiane. Tintoretto genio che ha influenzato Rubens e Velázquez (e Caravaggio?), Manet, Delacroix, Van Gogh e, arrivando a noi, Emilio Vedova (affinità esplicitata l’estate scorsa da una mostra a Venezia). Che cosa c’è di più inafferrabile del tempo? Gli antichi lo sapevano bene: si tratta si inseguire ombre, e magari di vederle stampate sul nostro volto che muta. Al tempo l’uomo moderno sente di dover dare un volto, e chi più dell’artista può abbracciare una sfida così impossibile? È quel che cerca di mostrarci in un aureo libretto edito da Skira Fernando Rigon,
L’orma del tempo (pagine 134, euro 9,00), seguendo le mitologie reinventate di Tiepolo con Saturno, ultimo dei pianeti, che nel simbolo diventa figura della
melancolia che lascia la sua impronta sulle cose e sulla nostra carne. S’incontrano nomi medievali, come l’Antelami, le iconografie degli dèi di Vincenzo Cartari, le incisioni dei Brueghel e di Philips Galle, fanno la loro apparizione Tiziano e poi Canova, e si segue sempre una sorta di geografia astrale: per dire, alla fine, che l’artista dipinge porte illusive dove l’affaccio sul tempo spalanca, all’improvviso, la vertigine dell’eternità. Ma il tempo, come il serpente, cambia pelle e si trasforma ogni volta.E a proposito di carrellate celesti, ma anche terrene, non poteva mancare una strenna sul Grand Tour. Si tratta di un volume alto quasi 50 cm, che pretende per sé uno scaffale doppio. L’idea è curiosa: attraverso materiale fotografico, per lo più di fine Ottocento e inizio Novecento, si compone una sorta di atlante visivo dei luoghi visitati da Goethe in Italia. Il titolo è proprio
Grand Tour, lo pubblica 24 Ore Cultura (pagine 128, euro 79,00, a cura di Andrea Amerio), e attraversando il Brennero, il Trentino e il Veneto con Venezia, dove pare che il grande tedesco vedesse per la prima volta il mare, si procede verso Bologna, Firenze, Roma e Napoli, e naturalmente la Sicilia, meta simbolica del viaggio verso Sud. Il tutto accompagnato da citazioni di Goethe.A proposito di viaggiatori, Philippe Daverio dà alle stampe per Rizzoli il volume illustrato
Guardar lontano. Veder vicino (pagine 448, euro 39,00) il cui titolo richiama lontanamente il
Saper vedere di Matteo Marangoni. Si avventura tra i capolavori dell’arte, ma con quella sprezzatura affabulativa che lo contraddistingue per il modello che ha saputo creare nelle sue celebri trasmissioni televisive. Si spazia dall’arte antica e dal Medioevo al Seicento, con una curiosità che cerca nel quadro la vita, non le idee. E se scarta dai pensieri programmati, la conduzione del libro è quella del salto che collega esperienze, artisti, cose spesso lontane tra loro. Chiamatele “Daveriologie”, come dice la bandella del libro, o più semplicemente libertà dagli schemi: purché aiuti a pensare.A proposito di viaggi e di sogni, è da poco uscito da Castelvecchi un libretto che raccoglie alcuni scritti inediti di Alfred Kubin sull’esperienza estetica e il mondo onirico. In
Disegnatore di sogni (pagine 116, euro 12,00), l’artista e scrittore boemo, morto nel 1959 a 82 anni, riepiloga il suo pensiero su alcune questioni fondamentali. Caposaldo visivo del surrealismo accanto al più anziano Odilon Redon (anche lui scrittore di racconti onirici), racconta la vita del sogno, ma anche una visita a una clinica psichiatrica dove scopre “l’arte dei matti”, confessa la sua esperienza d’artista nella scelta delle carte e degli inchiostri, riflette sul «fantasma non umano» che ispira ogni creativo. Nessun cedimento a un misticismo fantastico, ma una seria e suggestiva apertura sugli spazi onirici che alimentano le arti.E se vogliamo rimanere sul versante impertinente, che adotta l’iperbole interpretativa come mezzo per districarsi in quel calderone d’immagini che è il nostro tempo “globalizzato”, ecco che Camille Paglia, studiosa dei rapporti fra immagini, società e letteratura, docente a Filadelfia, pubblica dal Mulino
Seducenti immagini (pagine 296, euro 35,00). «Come sopravvivere a quest’epoca di vertigine?», si chiede Paglia. Le arti sono un elemento costitutivo della cultura europea e occidentale, eppure, nota Paglia, in America si tocca con mano un clima di rifiuto e ostilità verso l’arte e gli artisti. L’esperienza da cui parte la studiosa è quella di chi ascolta molto la radio, e in radio pare che monti questa ostilità. Si tratta, a dire il vero, della classica opposizione fra conservatori e innovatori. Forse perché chi ascolta la radio ha una predisposizione o una dipendenza meno forte verso l’immagine, ecco che l’arte visiva rischia di giocare un ruolo perturbante. La colpa, secondo l’autrice, è anche delle scuole che danno una educazione all’arte scadente: «Fin dall’asilo l’arte è tratta come prassi terapeutica». Ma – ribadisce – «la civiltà è definita dal diritto e dall’arte». E su questa scorta spazia dall’Egitto a
Guerre stellari (come recita il sottotitolo), lungo una trentina di capitoli. Con le tipiche associazioni interpretative a cui ci ha abituato fin dal volume
Sexual personae che la rese celebre nel mondo, il discorso di Paglia si muove da
Nefertari all’
Auriga di Delfi, dal
Laocoonte agli artisti italiani del rinascimento, dal rococò ai neoclassici, ai moderni più celebri del Novecento.Cogliendo un anniversario che si chiude Skira pubblica una monografia su uno dei pittori del secondo Novecento più amati dai letterati:
Fabrizio Clerici. 1913-1993 (pagine 336, euro 45,00), a cura dell’archivio intitolato all’artista di origini milanesi ma di lunga appartenenza romana. L’opera costruisce una biografia per immagini, con foto di momenti di vita di Clerici e opere, raccontando l’esperienza pittorica di questo grande metafisico, erroneamente confuso nel clima postmoderno con i citazionisti. Nella sua pittura si respira il dialogo fra storia e presente, fra antico e moderno, in una sintesi dove la pittura diventa una meridiana che àncora il futuro sul passato, secondo un celebre libro di Rosario Assunto:
L’antichità come futuro.