Le "janas" sono figure mitologiche alle quali si fa risalire l’abilità e la sapienza delle donne sarde. «L’appartenenza a un luogo è più forte quando si nasce su un’isola»: perciò la trentenne Bandinu, che oggi vive a Bologna (e crea gioielli fatti a mano che sappiano “narrare” qualcosa), ha voluto raccontare le tessitrici e i tessuti della Sardegna. Dal bisso marino di Chiara Vigo, vera e propria istituzione a Sant’Antioco (Cagliari) all’École de Madame Foile, a Villacidro (Medio Campidano), un’ong per la prevenzione del disagio psichico proprio attraverso il lavoro al telaio, dalle raffinatezze dello stilista cagliaritano Luciano Bonino all’esperienza della cooperativa Su Trobasciu di Mogoro (Oristano): protagonisti sono sempre i tessuti, le trame e i fili che diventano metafora di esistenze destinate a incontrarsi, in un certo punto, per dare vita a una vicenda comune. Trame ”faticose”, spesso destinate non ad essere vendute e comprate ma al corredo dei figli, all’ornamento personale, a tramandare l’arte delle mamme e delle nonne. Produzioni il cui richiamo ha travalicato i confini dell’isola, come nel caso dei tappeti di lana di Eugenia Pinna, a Nule (Sassari). Che, come le altre "janas", ha fatto del suo lavoro al telaio un presidio culturale per tutta la regione. La missione del documentario ideato da Stefania Bandinu e Giorgia Boldrini è stata abbracciata da musicisti affermati come Paolo Fresu, Paolo Angeli, Bebo Ferra e Sonia Peana, che ne hanno scritto la colonna sonora. Premiando il lavoro di un gruppo di giovani (con Bandinu, l’associazione Carta Bianca, all’attivo anche un lavoro su Giuseppe Dossetti) che si sono ostinati a seguire un sottilissimo “filo rosso”. «L’artigianato sardo è un’arte fluida che cresce come un lievito. Perché non dovremmo osare?» si chiede Michela Murgia, una dei due scrittori – l’altro è Marcello Fois – che hanno dato il loro contributo all’opera. Il dibattito è aperto, sulla pagina Facebook del progetto.