Un disegno di Doriano Solinas
In un noto saggio edito dal Mulino nel 2014, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica, la filosofa americana Martha Nussbaum evidenzia che «non c’è nulla da obiettare su una buona istruzione tecnicoscientifica », ma si dice preoccupata perché «altre capacità altrettanto importanti stanno correndo il rischio di scomparire nel vortice della concorrenza ». Si tratta di capacità «associate agli studi umanistici e artistici: la capacità di pensare criticamente, la capacità di trascendere i localismi e di affrontare i problemi mondiali come “cittadini del mondo”; e, infine, la capacità di raffigurarsi simpateticamente la categoria dell’altro ». Per questo – sostiene – nell’educazione dei giovani è fondamentale insegnare filosofia, storia e letteratura, mentre accade che, specie nelle società occidentali, «gli studi umanistici, l’arte e persino la storia vengano eliminati per lasciar spazio a competenze che producono profitti che mirano a vantaggi a breve termine». Scienza, tecnica ed economia hanno bisogno invece di un solido impianto umanistico per poter raggiungere i loro scopi in nome del vero progresso umano.
Esattamente all’opposto la pensa Andrea Ichino, docente laureato alla Bocconi di Milano e addottorato al Mit, per il quale «siamo rimasti l’unico Paese al mondo in cui, nelle scuole tradizionalmente di élite, gli studenti dedicano il massimo delle loro energie a studiare latino, greco e materie umanistiche». Allo stesso modo Michele Boldrin si scaglia contro la «maledetta cultura del liceo classico». Economisti di formazione statunitense vedono insomma nella cultura classica un ostacolo sulla via della globalizzazione. Sono lontani i tempi in cui per essere ammessi ad Harvard bisognava rispondere a domande sulla grammatica e la storia greca e romana oltre a quesiti di matematica; non solo, erano previste anche prove di traduzione al latino e al greco.
Il recente dibattito che ha diviso gli intellettuali italiani a proposito del liceo classico ha dimostrato come si sia indebolita nel nostro Paese, ma anche in Europa e in Occidente, l’idea della cultura classica come patrimonio condiviso. Molti pensano che sia un fardello del passato da cui bisogna liberarsi a tutto vantaggio degli studi scientifici, tecnologici ed economici. Perché continuare a fare versioni dal greco e prevedere ancora lo studio del latino nei licei scientifici?
Una difesa niente affatto scontata arriva ora proprio da uno scienziato, Lucio Russo, in un libro davvero fondamentale per capire le tendenze della cultura occidentale, Perché la cultura classica (Mondadori, pagine 228, euro 19,00). L’autore infatti non segue la linea scontata delle radici culturali che bisogna difendere a ogni costo e soprattutto rammenta che l’immenso patrimonio giunto fino a noi dal mondo antico non riguarda solo campi come filosofia e letteratura, ma anche proprio la scienza.
È il caso della cosmologia e dell’astronomia. Soprattutto in epoca ellenistica, vi fu un eccezionale sviluppo scientifico che portò ad esempio Aristarco di Samo a formulare la teoria eliocentrica, tanto che persino Copernico era cosciente di riprendere un’idea antica. E così la scoperta che le stelle fisse in realtà si muovono e l’idea newtoniana dell’attrazione degli astri fra loro e del Sole sui pianeti si può far risalire a Ipparco. Ciò nonostante, «il debito della scienza moderna verso l’antica cultura greca – constata Russo con una certa amarezza – è oggi in genere gravemente sottovalutato».
Oltre che ricordare il contributo della cultura classica in tutti i campi, compresi il diritto e la politica, l’autore dimostra come esso sia sempre più misconosciuto, tanto che oggi prevalgono le opinioni di Voltaire, che polemizzò contro chi sosteneva la superiorità della cultura antica, e di Spengler, per il quale «la storia del sapere occidentale è quella di una progressiva emancipazione dal pensiero antico». Russo delinea le tendenze fondamentali della nostra cultura che vanno in questa direzione. A partire dalla scuola, che nella seconda metà del Novecento ha finito per marginalizzare un po’ in tutta Europa gli indirizzi finalizzati a una preparazione generale polivalente.
A ciò si è abbinata la crescita impetuosa dell’industria culturale e dello spettacolo. Se il superamento della separazione storica fra cultura alta e cultura bassa è stato un bene per tutti, l’aver sostituito la scuola con l’intrattenimento ha portato sempre più a disprezzare l’eredità antica. Tanto più che – nota Russo contrapponendosi alla visione esageratamente ottimistica di Claudio Giunta nel suo pamphlet L’irragionevole processo alla cultura di massa– siamo ben lontani dall’aver realizzato quella crescita culturale tanto auspicata, visto che «il 70 per cento degli italiani sono analfabeti funzionali, vale a dire incapaci di comprendere, valutare, usare e farsi coinvolgere con testi scritti per intervenire attivamente nella società», come ha commentato Tullio De Mauro. Altro che “Rinascimento di massa”!
A tutto ciò si aggiunge il preoccupante analfabetismo scientifico, fenomeno non certamente aiutato dal diffondersi di una contaminazione con l’irrazionalismo, come si può constatare leggendo le opere del medico e guru indiano Deepak Chopra o del fisico americano Frank Tipler. Ma anche ricostruzioni oggi così amate come quella dell’antropologo Jared Diamond, che privilegia le ragioni geografiche e naturalistiche a quelle culturali nel considerare l’avanzamento e lo sviluppo delle civiltà nel corso dei secoli, si dimostrano assai parziali.
Al termine del suo excursus quanto mai efficace, Lucio Russo così conclude: «Fra gli aspetti non secondari dell’indebolimento dei nostri legami con la civiltà classica, accanto al progressivo abbandono del metodo dimo-strativo, dobbiamo includere l’ampliarsi della frattura tra matematica e fisica, l’incrinarsi del rapporto classico tra teorie e fenomeni e il diffondersi dell’irrazionalismo in importanti settori della comunità dei fisici».
In breve, non è solo la cultura umanistica a dover preoccuparsi per la perdita d’aureola della cultura classica, ma anche quella scientifica. Per evitare il rischio dilagante di un’eccessiva specializzazione, occorre tornare alla visione di un grande studioso come Wilamowitz, il quale giudicava indispensabile «la conoscenza del mondo greco in tutti i suoi aspetti, letterari, filosofici, politici e scientifici, non tanto come disciplina in sé ma piuttosto come punto di partenza verso le diverse discipline».