Quella avvenuta in Romania dopo il 1945 ad opera del governo comunista fu una delle più spietate e sanguinose persecuzioni anticattoliche di tutto il secolo scorso. Una pagina che disonora chi la scrisse e che esalta l’eroismo dei molti – vescovi e sacerdoti, soprattutto greco-cattolici – che la subirono senza piegarsi.La selvaggia violenza che si dispiegò nelle prigioni comuniste della Romania (senz’altro maggiore rispetto agli altri Paesi dell’Est sovietizzato) ci era nota finora soprattutto grazie alle benemerite ricerche di Cesare Alzati e Giuliano Caroli, fra i pochi studiosi italiani che hanno analizzato a fondo le vicende romene, cioè della «sorella latina d’Oriente», come veniva chiamato nell’Ottocento il Paese danubiano, resosi autonomo negli stessi anni in cui avveniva l’unificazione italiana. Ai loro lavori, fondati sullo studio dei documenti, vanno aggiunte le impressionanti memorie del vescovo Ioan Ploscaru (Catene e terrore, Edb 2013), sopravvissuto a 15 anni di detenzione e spietate torture. Su questa buia vicenda, poco conosciuta ma soprattutto frettolosamente accantonata dalla nostra labile memoria, si aggiunge ora l’analitica ricerca di uno studioso romeno, di confessione ortodossa, che ha studiato a Roma conseguendo il dottorato alla Gregoriana (Cosmin C. Oprea, Tra Roma, Bucarest e Mosca. Cattolici, ortodossi e regime comunista in Romania all’inizio della guerra fredda. 1945-1951, Aracne, pp. 568, euro 30). Oprea ricorda giustamente gli antefatti, accaduti nel ventennio fra le due guerre, non privi di rilievo su ciò che accadde dopo.Il primo fu lo spettacolare ampliamento territoriale della Romania dopo la prima guerra mondiale, in particolare l’acquisizione della Transilvania, abitata prevalentemente da ungheresi e da cattolici di rito orientale, che caricò un Paese già fragile, fin allora quasi interamente ortodosso, della necessità di gestire due minoranze, una etnica e l’altra religiosa. Il secondo è rappresentato dal concordato con la Santa Sede, stipulato nel 1927 e andato a effetto due anni dopo, che – in un Paese la cui identità era legata all’ortodossia – creò una situazione di privilegio sicuramente anomala per la componente cattolica.Dopo la seconda guerra mondiale la Romania, come sappiamo, finì nel blocco sovietico, con la conseguenza che sul suo incerto tessuto sociale si abbatté il ciclone dello stalinismo, ossessionato da due nemici da abbattere ad ogni costo: i valori dello spirito e dell’aldilà, che si opponevano alla costruzione della società comunista, e i poteri «esterni» all’orbita del sistema sovietico, che minacciavano la compattezza oppressiva del potere. Il cattolicesimo, ancorato a una trascendenza non spiritualistica ma fortemente incarnata nella storia, nonché obbediente a quella centrale internazionale «reazionaria» e «anticomunista» che era la Santa Sede di Pio XII, li rappresentava entrambi. Di qui la lotta senza quartiere contro il cattolicesimo, scatenata in tutte le nazioni situate oltre la cortina di ferro.Una lotta che in Romania, osserva giustamente Oprea, fu più spietata che negli altri Paesi dell’Est europeo perché la Romania, a maggioranza ortodossa e di cultura fondamentalmente levantina, sembrava offrire meno resistenze che non la Polonia o l’Ungheria o la Cecoslovacchia, dove una più solida tradizione cattolica e strutture sociali meno precarie costituivano ostacoli capaci di impensierire anche il totalitarismo comunista.
Su questo sfondo, nel giro di pochi anni, il regime comunista romeno, guidato dall’Urss, annientò con il metodo del terrore entrambe le componenti del cattolicesimo locale: quella latina e quella di rito orientale, greco-cattolica, che nel 1948 contava 6 diocesi e oltre un milione e mezzo di fedeli. Quest’ultima fu sciolta, privata dei beni e delle chiese e riportata a forza nell’alveo dell’ortodossia con un atto di imperio politico (ottobre 1948) analogo a quello già attuato in Ucraina, mentre i suoi vescovi, incarcerati per il loro rifiuto di staccarsi da Roma, subirono un martirio che rimane scolpito con i colori del sangue nella storia del Novecento. Per uno di loro, Vasile Aftenie, fatto letteralmente a pezzi nella più famigerata delle carceri romene, quella di Vacaresti, poco fuori di Bucarest, è stato doverosamente avviato il processo canonico che lo porterà sugli altari.In mezzo, fra persecutori e perseguitati, rimase compressa la Chiesa ortodossa, che pagò anch’essa il suo tributo al martirio, ma riuscì a sopravvivere con una serie di compromessi, concessioni e cedimenti – il cui principale artefice fu il patriarca Justinian Marina, perfetto esemplare di collaborazionismo – sui quali questo libro appare davvero troppo indulgente.La lotta al cattolicesimo coinvolse anche religiosi italiani operanti in Romania (del francescano veneto Clemente Gatti, che esercitava prima in Transilvania e poi a Bucarest, morto in seguito alle spietate torture subite in carcere, è in corso la causa di canonizzazione) e personale della nostra ambasciata, che aveva cercato di coprirli e proteggerli. L’episodio più noto di questa fosca vicenda furono i due processi al personale della Nunziatura, chiusa nel 1950 (due anni prima era stato unilateralmente denunciato il concordato), che ricalcarono il tragico copione già visto in Ungheria con il processo al primate cardinale Mindszenty.Ma perché tanto odio per il cattolicesimo romano? Un barlume di risposta (anche se non certo di giustificazione) la fornisce un rapporto della polizia segreta romena, la Securitate, riportato dall’autore a pagina 121. Merita di essere letto per intero: «Le possibilità informative del Vaticano, in tutti i Paesi in cui esiste la Chiesa cattolica, sono vaste, soprattutto grazie al fatto che il Sommo Pontefice ha a sua disposizione un intero esercito di preti ben preparati, disciplinati, facilmente manovrabili, non essendo vincolati dalla famiglia o da patrimoni. Ogni sacerdote della Chiesa romano-cattolica è, nello stesso tempo, un agente informativo perfetto del Papa di Roma, che trasmette da ogni angolo del mondo, per mezzo di scaglioni gerarchici, tutti i dati di natura politica, sociale, economica e religiosa che raccoglie dal seno della sua comunità religiosa». La forza politica e informativa dell’organizzazione cattolica, estesa in ogni continente e pericolosa, ieri non meno di oggi, per ogni regime totalitario, non poteva essere descritta meglio.