sabato 13 febbraio 2021
A mezzo secolo dall'uscita torna in vinile il capolavoro del gruppo che il 20 febbraio 1973 portò in concerto in Vaticano l'opera ispirata al Vangelo di Matteo: «Siamo stati coraggiosi e ispirati»
I Latte e Miele il 20 febbraio 1973 al Pontificio Oratorio di San Pietro

I Latte e Miele il 20 febbraio 1973 al Pontificio Oratorio di San Pietro

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«È il racconto musicale di una storia vera, dove la musica è la principale protagonista. Diventa personaggio... È il frutto dell’efficacia del susseguirsi dei molteplici strumenti, del connubio musicale e poetico di una storia che rivive nell’animo». Così l’Osservatore Romano recensiva il concerto tenutosi il 20 febbraio 1973 al Pontificio Oratorio di San Pietro intitolato Passio secundum Mattheum. Fin qui niente di strano, senonché a comporre musiche e testi e a suonare dal vivo quelle note che raccontavano l’Ultima cena, l’agonia nel Getsemani, il Calvario e la morte in croce di Gesù non era una qualche orchestra sinfonica o da camera oppure una camerata musicale e corale attraverso il consueto linguaggio musicale cosiddetto sacro, bensì tre giovanissimi “capelloni”, come venivano sommariamente etichettati i ventenni in quegli anni.

Musicisti patiti tanto di Emerson, Lake & Palmer quanto di Bach, che si chiamavano Latte e Miele. Nel loro paradiso musicale sgorgavano però soprattutto fiumi di note provenienti da ogni tipo di sorgente sonora, dalla sinfonica alla musica barocca, dal folk medievale al jazz, dai cori ecclesiastici al rock. La tanto temeraria quanto lodata impresa, a breve distanza temporale dal musical kolossal Jesus Christ Superstar, portava la firma del tastierista Oliviero Lacagnina, del chitarrista Marcello Dellacasa e del batterista e polistrumentista Alfio Vitanza.

Ad assistere a quel concerto avrebbe dovuto esserci persino papa Paolo VI, ma alla fine non poté e in sua rappresentanza parteciparono alcuni alti prelati del Vaticano. Il disco era uscito l’anno prima pubblicato dalla Polydor ed era stato registrato negli studi della Phonogram. Quell’originale album che segnava il debutto discografico dei Latte e Miele rivede ora la luce, a cinquant’anni esatti dalla nascita del gruppo nel 1971, pubblicato da Universal Music per la collana “Prog Rock Italia - Il meglio del Progressive Italiano”, in un elegante vinile rimasterizzato direttamente dai nastri originali.

«Eravamo andati alla casa discografica con cui avevamo da poco firmato il nostro primo contratto – ci racconta Marcello Dellacasa dalla sua abitazione di Piacenza – e abbiamo barato dicendo che avevamo pronta un’opera, la Passio secundum Mattheum. Non era vero niente, l’idea però è piaciuta subito e ci hanno detto che dopo quindici giorni saremmo andati in sala d’incisione. Così mi sono precipitato da Oliviero e ci siamo immersi per una settimana in questo folle progetto. Eravamo davvero ispirati ed è stata premiata quella nostra furbizia, per così dire, evangelica».

«Avevo da poco comprato un 33 giri con la Passione secondo Matteo di Bach – ricorda Oliviero Lacagnina, anch’egli come Dellacasa di formazione classica – e ne ero stato folgorato. Io all’epoca ero tra l’altro organista titolare in un santuario a La Spezia, dove abito tuttora. Insomma, conoscevo bene la liturgia e avevo una certa sensibilità religiosa. Così sono riuscito a trascinare anche Marcello in questa avventura e insieme abbiamo composto musica e testi, attingendo al Vangelo di Matteo. In una settimana abbiamo scritto tutto, ma in sala d’incisione è stata l’improvvisazione la nostra marcia in più».

Manager e cofondatore del gruppo insieme ad Alfio Vitanza (poi batterista dei New Trolls) era il produttore ed ex cantante lirico genovese Arnaldo Lombardo, deus ex machina del progetto con il coinvolgimento in Vaticano di Oreste Lionello come voce recitante e con l’accompagnamento di componenti del Coro del Teatro dell’Opera di Roma, mentre alla registrazione l’anno prima avevano partecipato dei loro colleghi della Scala di Milano. Un’operazione certamente ardita, ma altrettanto fortemente apprezzata dalla Santa Sede anche per la chiara qualità artistica e per l’intrinseca spiritualità espressa, seppure attraverso un mix di stili e sonorità e un utilizzo di strumenti per così dire sperimentali, se riferiti a un tema e a un soggetto sacro.

«Recita, canto, suono, duetti dolci e melodiosi – scriveva ancora l’Osservatore Romano all’indomani del concerto all’Oratorio di San Pietro, riferendosi in particolare al momento dell’Ultima Cena – colgono questi ed altri momenti in profondità, nella sostanza». Non molti mesi prima del debutto in Vaticano i Latte e Miele avevano invece partecipato a diverse kermesse alternative come “Controcanzonissima” al Piper e il Festival Pop di Villa Pamphili a Roma. Così fu proprio l’ex tenore Lombardo, loro manager e produttore, a dare un po’ di lezioni di canto a Dellacasa affinché la sua voce fosse sufficientemente impostata per la registrazione della Passio.

«Adesso non sono più in grado di cantare, la mia voce non ha più estensione – ci dice Dellacasa, reduce prima della pandemia da concerti per chitarra e orchestra a San Pietroburgo e a Bacau, in Romania –, tanto che nei concerti fatti negli ultimi anni durante i nostri tour in Corea e Giappone non ero io a cantare, ma suonavo soltanto la chitarra. A cantare c’era Roberto Tiranti, con il ritorno al basso di Massimo Gori». In scaletta in Oriente, dove il prog rock dei Latte e Miele all’inizio del terzo millennio sta avendo una seconda vita, c’era anche la Passio secundum Mattheum ma nella sua versione allargata.

«Ci era sempre rimasto il cruccio di essere stati troppo concisi – svela Lacagnina – e avremmo desiderato perfezionare l’opera, così nel 2014 a distanza di quasi quarant’anni ci siamo tolti lo sfizio di reinciderla tutta aggiungendo anche un’ampia integrazione di sette nuovi brani. Mantenendo l’omogeneità e lo spirito originari». Per Dellacasa poi l’occasione anche di riparare a un vecchio errore: «Scrivendo il testo, sbagliai facendo dire a Gesù dinanzi a Pilato di essere il Re dei Giudei. Dopo 42 anni ho potuto finalmente rimediare. Allora eravamo tanto entusiasti e coraggiosi quanto immaturi anche se suonavamo molto bene. Nella nuova versione abbiamo, per esempio, eliminato anche una parte un po’ jazzistica che risultava poco consona e troppo lunga. Ma era tutto improvvisato, non c’era niente di scritto. Tant’è che mi sono dovuto tirare giù tutte le parti di chitarra e gli assoli per poterlo risuonare tale e quale».

Per Lacagnina c’è invece ancora il desiderio di rimettere mano a un altro loro capolavoro, insieme a Marco Polo: «Vorrei che risuonassimo Papillon, il nostro secondo album, del 1973. Nel 1992 ne era uscita una versione in lingua inglese, ma mi piacerebbe saldare un debito morale che dura da quasi mezzo secolo. C’erano spunti musicali che non avevamo potuto sviluppare perché sui solchi dei 33 giri di allora non c’era molto spazio. Mentre le idee di chi come noi faceva prog erano tante. Poi improvvisando e sapendo suonare ne venivano sempre di più».

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