Il primo
crowdfunding della storia? Difficile da stabilire, ma per non andare troppo indietro nel tempo si potrebbe citare il finanziamento pubblico della Statua della Libertà, nel 1884: il denaro stanziato dall’American Committee non era sufficiente per costruire anche il piedistallo, i lavori in Francia si arenarono, e così il magnate della stampa Usa Joseph Pulitzer, attraverso il suo giornale, invitò i cittadini a inviare un’offerta. Furono raccolti centomila dollari in cinque mesi e Miss Liberty salpò con destinazione la baia di Manhattan. E molti americani si sentirono legati a essa in modo particolare proprio per aver contribuito a farla arrivare a destinazione. Un secolo e un quarto dopo, opportunamente aggiornata con gli strumenti offerti dal web, la “raccolta pubblica” (il significato di crowdfunding è nient’altro che "finanziamento popolare"), già largamente in uso in ambito sociale, apre al mondo della cultura infinite prospettive. Una pala d’altare da restaurare? Un piccolo museo da riaprire al pubblico? Un ponte romano da rimettere in sesto? Una mostra da organizzare? Si sceglie un modello di crowdfunding (si va dal prestito alla donazione tout court, con alcune forme intermedie che prevedono riconoscimenti e “ricompense” di vario tipo – come si spiega nel box in pagina), una piattaforma online (in Italia ne sono attive una trentina) e si lancia il progetto, chiedendo al pubblico di contribuire. Il caso più recente è la campagna di raccolta fondi da un milione di euro lanciata all’inizio di settembre dal Louvre, sotto il nome ormai consueto di “Tous mecénès”, “tutti mecenati”, per contribuire al restauro della Nike di Samotracia (
www.louvresamothrace.fr). La splendida statua, che scomparirà fino al maggio 2014 dalla sommità della scalinata Daru, attendeva da quindici anni una vasta operazione di ripulitura, che ora è partita con tre milioni di euro di finanziamenti sponsorizzati e un altro milione chiesto al pubblico attraverso internet. Si potrà partecipare con piccole o grandi donazioni, fino al 31 dicembre 2013. Il grande museo parigino non è nuovo a iniziative del genere: nel 2010 fu raccolto in un mese il milione di euro che mancava per acquistare Le tre Grazie di Cranach e nel 2012 quattromila donatori fornirono gli ottocentomila euro necessari per portare nelle collezioni due statuette in avorio medievali. Anche il nostro Paese, il primo al mondo a dotarsi, a metà luglio grazie alla Consob, di un regolamento, seppur parziale visto che riguarda solo le piattaforme di equity-based crowdfunding, si sono già viste esperienze importanti. Il più clamoroso è stato l’acquisto, da parte del Museo di Palazzo Madama di Torino, di un servizio di porcellane di Meissen (43 pezzi) già appartenuto alla famiglia Taparelli d’Azeglio e messo all’asta a Londra da Christie’s per ottantamila euro. Il Museo non aveva i fondi e all’inizio del 2013 li ha chiesti al mondo intero via web, ottenendoli velocemente e riportando a casa, lo scorso giugno, le preziose suppellettili. Un altro progetto coronato da successo, sempre nel 2013, è stato il finanziamento del Padiglione Italia alla 55ª Biennale di Venezia. Altri due casi arrivano da Bergamo, dove sulla piattaforma di crowdfunding Kendoo sono documentate due raccolte fondi: una di seimila euro (ne sono stati racimolati per ora quattromila) del Fai per restaurare il Globo celeste del Coranelli, l’altra, già chiusa con cinquemila euro, della Fondazione Credito Bergamasco per riportare alle antiche glorie il Polittico di Palma il Vecchio nella parrocchia di Serina. Altri due casi da segnalare sono il restauro, già finanziato con 140mila euro, del campanile della chiesa parrocchiale di San Zenone degli Ezzelini, in provincia di Treviso, sulla piattaforma di
www.terzovalore.it di Banca Prossima, e la richiesta di sostegno, sulla piattaforma
www.iodono.it, all’Archivio dei diari di Pieve Santo Stefano di Arezzo. Rispetto alla potenzialità che lo strumento del finanziamento popolare promette in ambito culturale, tuttavia, in Italia si registra qualche lentezza. Mentre sulle varie piattaforme, in particolare su
www.eppala.it e
www.produzionidalbasso.it, spopolano i progetti lanciati da aspiranti registi di documentari e di film (una delle pellicole fuori concorso al Giffoni Film Festival, L’ultimo goal è stato finanziato così), al momento si contano sulle dita di una mano le collette telematiche legate alla salvaguardia o alla promozione del patrimonio culturale e turistico, penalizzato peraltro dalla mancanza di fondi pubblici. Come mai questo vuoto? «Penso che il motivo sia soprattutto culturale – risponde Daniela Castrataro, autrice con Alessio Barollo del pamphlet "Il crowdfunding civico: una proposta", reperibile in Rete –. In Italia si è abituati a donare per la ricerca medica e per il soccorso a cittadini colpiti da calamità naturali. Ora si comincia a vedere qualcosa di diverso sulle piattaforme di finanziamento popolare, ma si tratta prevalentemente di progetti legati in qualche modo al sociale». Serve soprattutto una preparazione degli operatori del settore culturale, non ancora scontata: se non conoscono lo strumento, nemmeno possono lanciare collette via web. E poi, continua l’esperta, nonostante l’Italia sia all’avanguardia nel crowdfundig dal punto di vista “tecnico” (piattaforme, esperti, persino un’associazione nazionale di settore, l’Italian crowdfunding network, del cui Consiglio direttivo la Castrataro è membro) «manca la folla, la “crowd”, che comprenda e utilizzi questo strumento, mancano sia “finanziatori” sia “project holders” preparati». Ciononostante la Castrataro è convinta che il finanziamento popolare in futuro potrà avere un ruolo nella salvaguardia dell’immenso patrimonio culturale e artistico italiano: «Non va dimenticato che due dei più grandi progetti sul territorio nazionale appartengono proprio al settore dell’arte, e entrambi hanno dimostrato che il terreno è fertile per questo strumento. Quasi 1.500 donatori che insieme finanziano con oltre ottantamila euro il riacquisto di un servizio di porcellana per un museo è, a mio avviso, crowdfunding allo stato puro. È “folla” che ha un legame particolare con l’istituzione, con il territorio, con l’arte in generale e decide di dare un piccolo contributo per amore del bene pubblico». Il vantaggio è duplice: da una parte si sopperisce, anche se in minima parte, alla mancanza di fondi pubblici, dall’altra si colma la distanza cronica tra i cittadini italiani e il patrimonio culturale e artistico che, in fondo, appartiene a tutti. E la trasparenza, grazie ai meccanismi tipici del web 2.0, è garantita.