Atre anni dal racconto dell’«altro 11 settembre», quello del 1683, su Marco D’Aviano, paladino dell’identità cristiana, Renzo Martinelli torna nelle sale cinematografiche con un altro film destinato a far discutere, con la promessa di dire la verità, tutta la verità, nient’altro che la verità su caso Ustica, uno dei più grandi e dolorosi misteri italiani. Da sempre definito 'regista scomodo', Martinelli si è dedicato a un cinema investigativo allo scopo di mettere in luce verità nascoste e menzogne ufficiali, scavando per affrontare questioni ancora irrisolte della storia del nostro Paese. Con
Porzus, coraggiosamente controcorrente, aveva indagato l’eccidio della brigata partigiana Osoppo d’ispirazione cattolica, poi si è occupato del crollo della diga del Vajont, del caso Moro (
Piazza delle Cinque Lune), del terrorismo islamico (
Il mercante di pietre), di Alberto da Giussano (
Barbarossa) di Marco D’Aviano (
11 settembre 1683). Opere senza molto successo ai botteghini e poco apprezzate dalla critica. Martinelli penserà di essere forse troppo scomodo per ottenere consenso, dimenticando però che il cinema ha ragioni artistiche che il pubblico conosce benissimo e che il regista spesso sacrifica sull’altare delle tesi da dimostrare. Innanzitutto in
Ustica la vera collisione è quella tra fatti realmente accaduti e la finzione. La ricostruzione del disastro aereo del 27 giugno 1980 va di pari passo con storie – quella della giornalista che perde prima la figlioletta e poi il senno, quella dell’elicotterista che trova uno scritto con la confessione del pilota libico schiantatosi al suolo – che non hanno la forza drammaturgica per restituire verità umana. I personaggi, troppo monodimensionali, sono funzionali a un’idea e non acquistano mai spessore che meriterebbero, la sceneggiatura è punteggiata da dialoghi schematici, poco autentici, stonati, inutilmente didascalici e retorici, recitati da attori visibilmente a disagio nei panni che indossano, incapaci di trovare ritmo e anima in una storia senza sfumature. Per non parlare della ricostruzione dell’incidente, spettacolare nelle intenzioni di Martinelli, realizzata con aerei digitali su sfondi reali, che aumentano però la sensazione di inverosimiglianza e approssimazione di ciò che viene messo in scena. Il problema allora non è che Martinelli affronti argomenti troppo spinosi, controversi o addirittura malvisti, ma che lo faccia attraverso una visione manichea del mondo, cancellando contraddizioni, complessità e sfaccettature che costituiscono il cuore pulsante di ogni avventura umana.
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